Page 88 - Poemi del Risorgimento
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grande del pari, ed esclamò: «L'augurio
accetto. Viva io qui tranquillo e pago
di questo regno povero, cacciando
i cervi, errando pei selvaggi monti,
fin ch'io non possa essere il primo in Roma!»
Risero tutti, sì, ma la lontana
posterità ventò sulla coorte,
quasi alitando i secoli futuri.
Cesare quindi una città di guerra
fece ai Taurini, e la munì di vallo,
e di due torri ornò le porte, e, cauto
dell'avvenire, i veterani astati
pose in questo romano accampamento,
forti coi forti. E la quadrangolare
città nel suolo si piantò, sicura
per le sue pietre e più per i suoi cuori.
A destra poi, per una grande porta,
badava ad ogni voce, ad ogni suono,
se udisse mai venire le coorti,
se un clangor, lungi, si levasse al vento,
frangesse il vento uno squillar di trombe,
la via strepesse al duro cuoio e ai chiodi
della legione, e Roma ritornasse:
o se, di tra gli stìpiti rimasti
l'eterna fuga a contemplar degli anni,
s'avesse alfine a ritornare a Roma.
Fuggiva il tempo, e l'acqua dei due fiumi
fuggiva anch'ella, in grande oblìo di tutto.
Dalle sue porte la città spiava
i quattro venti, rivolgendo a un tratto
l'attento orecchio ognor dall'Alpi a Roma.
Ecco luccicar d'armi ampio e di schiere.
Ferro era tutto, che copria cavalli
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