Page 70 - Poemi del Risorgimento
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fervean d'un cupo murmure. Ché i molti
idoli sacri, l'uno dopo l'altro,
vi discendeano. E Venere, la vita,
vedea la prima volta ora i vetusti
lupi e cignali, e là pur mo' gettata
schifìa Minerva i rozzi cippi e il vano
dio, ch'era un legno putrido, ed ansante
non ravvisava, nel Mamurio irsuto,
Marte sé stesso. E scese alfin dal sommo
dell'arce, dietro gli altri dei consenti,
Giove pieno di nubi il sopracciglio.
«O già potenti in cielo, sulla terra,
nel mondo oscuro: fummo. Noi cacciammo
altri dal soglio, ed altri noi discaccia.
Ma non è vano l'aspettar vicenda.
Quel dio rifatto, a cui cedemmo contro
cuore, fuggiasco, povero, deforme,
il cui soglio è la croce, ed il cui serto
sono le spine dei roveti...» Ed altro
egli diceva, ma seguì con voce
piena d'orrore la Carmenta antica
vaticinante, a nessun dio più nota,
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svanì lasciando gli edifici soli,
già balenanti, già meditabondi
tra sé e sé, del crollo ultimo, e Roma,
Roma, sotto il suo sole almo, deserta.
IL GRANDE SEPOLCRO
E fu silenzio dentro le muraglie
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Vedi nota precedente. Da porre in fondo a "L'Esecrazione"
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