Page 94 - Primi poemetti
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a me risparmia il reo dolor che pensa.
O, s’è destino, per di più mi dona,
con quel che pensa, anche il dolor che grida:
l’afa che opprime, il nuvolo che tuona;
pensier che strugga e folgore che uccida!»
II
E ripregava a mezzodì: «Rimane,
Dio, che tu lasci che il nemico muto
pur mandi a me le nudità sue vane.
Quando al vespro del mio dì combattuto
dilegueranno, io penserò che, vere,
le avrei non meno dileguar veduto.
Nel cuore sono due vanità nere
l’ombra del sogno e l’ombra della cosa;
ma questa è il buio a chi desìa vedere,
e quella il rezzo a chi stanco riposa».
III
A sera, disse: «Il servo, umile e grato,
ti benedice! Tu mi desti, o Dio,
l’aver provato e non aver peccato.
L’anima mia tu percotesti e il mio
corpo di tanto e tal dolor ch’è d’ogni
dolcezza assai più dolce ora l’oblìo.
Infelice cui l’occhio apresi ai sogni,
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