Page 32 - Poemii italici
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ché a me conviene ora fuggir celato...”
E sparve. E l’altro uscito dalla terra
andò ramingo per ignote strade.
V
E si trovò nel mezzo a una pineta.
Misto d’incenso v’era odor di mare.
Udì lontano un suono di compieta.
Pianger parea la squilla il dileguare
ad occidente d’assai più che un giorno!
E là tra il nero era un lucor d’altare.
Parea, la selva, un tempio. E quando intorno
tacque la squilla sola, ecco dei pini
s’udì l’aereo murmure piovorno.
Stridiano sulle stipe e sugli spini
tremuli i grilli, e rispondean le rane
a quando a quando di su gli acquastrini.
E notte venne, e fu tutt’ombre vane
l’antica selva, e risonò di rotte
grida di fiere e forse voci umane.
Uno sfrascare, un galoppare a frotte,
un grido acuto, e poi silenzio ancora,
e l’ansimare solo della notte.
E sorse il lume d’una strana aurora
notturna, che le strigi vagabonde
fece fuggir con muti voli anzi ora.
Trascolorò sotto le pallide onde
il tempio immenso con veloci fiumi
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