Page 18 - Poemii italici
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la Bestia, ahimè! che mangia e ringhia e freme
sopra il presepe, e scalpita selvaggia
tutta la notte! Noi vegliamo insieme,
la Bestia e io! così che i dolci modi
che ti cantai, che andavi zingarello
di fiera in fiera, ora non più tu li odi.
Allor, sul carro, io ti mutava in note
d’una viola e d’un violoncello
lo strido assiduo delle trite rote.
A cui, crescendo, s’aggiungean fanfare
di trombe e corni, ed, ecco, un infinito
coro di voci alte nel cielo e chiare.
Giungeva sempre più canoro il nembo
sopra il tuo capo pendulo, sopito,
ch’allor tua madre s’accostava al grembo.
Passava il nembo, lontanava l’inno
con le grandi ali tremole e sonore,
lasciando alfine un sol, di sé, tintinno,
piano, più piano... era dell’arpa mia...
e tu la udivi con l’orecchio al cuore
della tua madre, per la lunga via...”
III
Poi disse: “Pensa al giorno, così lento,
quand’eri messo a lavorare il ferro.
Movevi tu da striduli otri il vento.
E quattro fabbri mezzo neri e nudi
traeano il masso dal carbon di cerro
e lo battean sull’echeggiante incudine.
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