Page 62 - Poemi conviviali
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Dunque non era sogno il mio, che or ora
                                            portavo ai proci, ai proci morti, un messo:
                                            ed ecco nell'opaco atrio la cetra
                                            udivo, e le lor voci esili e rauche.
                                               Invero udiva il tintinnio tuttora
                                            e il canto fioco tra il fragor dell'onde,
                                            qual di querule querule ranelle
                                            per un'acquata, quando ancor c'è il sole.
                                               E tra sé favellava Iro il pitocco:
                                            O son presso ad un vero atrio di vivi?
                                            e forse alcuno mi tirò pel piede
                                            sino al cortile, poi che la mascella
                                            sotto l'orecchio mi fiaccò col pugno?
                                            Come altra volta, che Odisseo divino
                                            lottò con Iro, malvestiti entrambi.
                                               Così pensando si rizzò sui piedi
                                            e su le mani, e gli fiottava il capo,
                                            e movendo traballava come ebbro
                                            di molto vino; e ad Odisseo comparve,
                                            nuotando a vuoto, ed ai remigatori,
                                            terribile. Ecco e s'interruppe il canto,
                                            e i remi alzati non ripreser l'acqua,
                                            e la nave da prua si drizzò, come
                                            cavallo indomito, e lanciò supino,
                                            a piè di Femio e d'Odisseo seduti,
                                            Iro il pitocco. E lo conobbe ognuno
                                            quando, abbrancati i lor ginocchi, sorse
                                            inginocchioni, e gli grondava il sangue
                                            giù per il mento dalle labbra e il naso.
                                            E un dolce riso si levò di tutti,
                                            alto, infinito. Ed egli allor comprese,
                                            e vide dileguare Itaca, e vide
                                            sparir le case, onde balzava il fumo:



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