Page 131 - Poemi conviviali
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molto lodati, come sai: Zelòto
                                            il primo: Argeo, buono alla lotta, eppure
                                            fiorito appena di peluria il labbro,
                                            l'ultimo: è questi ora su l'Istmo, ai giochi.
                                            Lachon, ascolta. Ieri udii, su l'alba,
                                            un grido in casa, un fievole vagito
                                            che mi chiamava al talamo del figlio
                                            più grande. Andai. Vidi una luce: un uomo
                                            novo fiammante! E con le sue manine
                                            egli annaspava come a dire - O vedi
                                            ch'io l'ho pur qui la lampada di vita
                                            accesa a quella ch'alla tua s'accese!
                                            Più non è danno se la tua si spenge:
                                            Son io Panthide. Puoi partire, o nonno! -
                                            Parlato ch'ebbe, egli movea le labbra
                                            come assetato... E io dovrei tutt'ora
                                            tener le labbra al pispino del fonte,
                                            vietando io vecchio al mio novello il bere?
                                            gli dovrei forse intorbidar la polla?
                                            Io parto. E, come io sono lui, non muoio.»
                                            E Lachon disse: «Oh! io vorrei che un poco
                                            la piccoletta fiaccola negli occhi
                                            miei balenasse! Oh! io vorrei per poco
                                            con la mia mano ripararle il vento!
                                            vorrei, seduto per qualche anno al fonte
                                            di vita, senza berne più che un sorso,
                                            vorrei vedere quella rosea bocca
                                            arrotondarsi sul bocciuol materno!
                                            Ospite, io credo, più di me tu muori.»


                                               Tacquero intenti a udirsi, dentro, l'inno
                                            del lor respiro, onda che viene e onda
                                            che va, seguite da un pensiero immoto.



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