Page 119 - Poemi conviviali
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Pan era solo, accanto al suo pensiero,
invisibile. Il bello adolescente,
supino il capo, con la lunga chioma
spiovente, lungi dalla nuca, all'aria,
beveva l'eco delle sue parole.
Ed ecco entrò dall'abbaino un canto
d'acute voci: «Balla, dunque, o muori!»
E il custode dal tetro uscio i fanciulli
striduli fece lontanar nel sole,
fuor dell'ombra dei tetti e della roccia.
Ma là, nel sole, molleggiò più goffa
sul pugno a Gryllo, s'arruffò, chiudendo
aprendo gli occhi, la civetta, e i bimbi
ridean più forte. Onde il custode: «O Gryllo
figlio di Gryllo, tu che sei più savio,
dà retta. Sai: codesto uccello è sacro
alla Dea nostra, a cui tu canti l'inno
movendo nudo coi compagni nudi
per la città. La nostra Dea sa tutto,
ché gli occhi ha grigi, di civetta, e vede
con essi per l'oscurità del cielo.»
«No, che non vede» disse Hyllo «né vuole
vedere, e chiude gli occhi tondi al sole.»
«Passero, taci. Tu, Gryllo» il custode
riprese, «grande già mi sei. Conosco
tuo padre, il buono artefice di scudi.
Tu gli somigli come fico a fico.
Fa chetare le tortore ciarliere.
C'è dentro la mia casa uno che muore!»
«Chi? Questa sera?» «Al tramontar del sole!»
«Perché?» «La nave ritornò da Delo.
Ed egli vide un sogno: una vestita
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