Page 20 - Lo scarabeo d'oro
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del mio amico, riuscii appena a rattenere le lagrime.
Tuttavia giudicai che, almeno pel momento, fosse
meglio dargliela vinta, sino a quando non potessi adotta-
re qualche misura piú energica con probabilità di suc-
cesso. Intanto provavo, ma inutilmente, a interrogarlo
sullo scopo della nostra spedizione.
Ora che era riuscito a persuadermi di accompagnarlo,
sembrava poco disposto a intavolare discorso su sogget-
ti di minore importanza e, ad ogni mia domanda, rispon-
deva invariabilmente: «Vedremo!».
Traversammo con una barchetta il canale alla punta
dell’isola, e arrampicandoci sugli spalti della riva di ter-
raferma, ci dirigemmo a nord-ovest attraverso una re-
gione orribilmente selvaggia e desolata dove non era
traccia di piede umano. Legrand procedeva per primo,
con decisione, fermandosi solamente, di tempo in tem-
po, per consultare certi segni che parevano essere stati
fatti da lui stesso in precedenti escursioni.
Andammo avanti cosí per circa due ore, e il sole era
al tramonto quando entrammo in una regione infinita-
mente piú sinistra di quante ne avevamo viste sino allo-
ra. Era una specie di altipiano in costa alla cima di una
collina pressoché inaccessibile, coperta di boscaglie dal-
le falde alla vetta e cosparsa di enormi blocchi di pietra
che sembravano giacere alla rinfusa sul suolo, e parec-
chi dei quali sarebbero certo precipitati nelle valli sotto-
stanti se non fossero stati trattenuti dagli alberi a cui si
appoggiavano. Profondi burroni si aprivano in varie di-
rezioni dando alla scena una solennità ancora piú tetra.
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