Page 20 - Il pozzo e il pendolo
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ro indistinto di gioia, di speranza. Eppure, che cosa vi
           poteva essere di comune tra me e la speranza? Era, ripe-
           to, un pensiero indistinto; l’uomo ne ha spesso di tali,
           che non vengono mai completati. Capii che era un pen-
           siero di felicità e di speranza, ma capii anche che era
           morto sul nascere. Mi sforzai invano di riafferrarlo e
           completarlo. Le lunghe sofferenze avevano quasi an-
           nientato le ordinarie facoltà della mia mente: ero un im-
           becille, un idiota.
              L’oscillazione dell’acciaio procedeva ad angolo retto
           con la mia lunghezza. Osservai che la lama era disposta
           in modo da attraversare la regione del cuore. Avrebbe
           sgraffiato la stoffa della mia veste, poi sarebbe tornata a
           ripetere la sua operazione – di nuovo –, e di nuovo. No-
           nostante la spaventosa ampiezza della sua oscillazione

           (una trentina di piedi o più) e l’energia fischiante della
           sua discesa, che sarebbe bastata anche a spezzare quelle
           pareti di ferro, per alcuni minuti, tuttavia, non avrebbe
           potuto far altro che lacerarmi il vestito. Mi fermai a que-
           sto pensiero. Non osavo riflettere più oltre. Mi ci con-
           centrai con un’attenzione ostinata, come se, fermandomi
           lì, avessi potuto arrestare anche la discesa dell’acciaio.
           Mi sforzavo di pensare al suono che avrebbe dato la
           lama tagliando il panno della veste, alla sensazione sin-
           golarmente penetrante che lo sfregamento della stoffa
           produce sui nervi. E a tutte queste futilità continuai a
           pensare, finché non mi sentii allegare i denti.
              Uniformemente, la lama scendeva sempre più giù.
           Provavo un piacere frenetico nel paragonare la sua velo-


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