Page 19 - Il pozzo e il pendolo
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A che può servire ch’io racconti delle lunghe, lunghe
ore di angoscia più che mortale nelle quali contai le
oscillazioni vibranti dell’acciaio? Pollice per pollice, li-
nea per linea, in una discesa calcolabile solo a intervalli
che mi sembravano secoli, esso si abbassava sempre e
sempre. Passarono dei giorni – può darsi molti giorni, –
prima che venisse a oscillare tanto vicino al mio viso da
farmi vento col suo alito acre. L’odore dell’acciaio affi-
lato mi penetrava nelle narici. Pregai il cielo, lo stancai
con le mie preghiere, perché facesse scendere il ferro
più rapidamente. Diventavo pazzo furioso e mi sforzai
di alzarmi per andare incontro al movimento dell’orribi-
le scimitarra. Poi caddi improvvisamente in una gran
calma e giacqui, sorridendo a quella morte scintillante
come un bambino a un ninnolo raro.
Seguì un nuovo spazio di tempo di assoluta insensibi-
lità; ma fu breve: ritornato in me, vidi che il pendolo
non si era abbassato in modo percettibile. Tuttavia può
darsi benissimo che il tempo trascorso sia stato lungo,
perché, come sapevo, vi erano dei demoni a spiarmi, i
quali, notato il mio svenimento, avevano potuto fermare
l’oscillazione a piacer loro. Nel riprendere i sensi, pro-
vai un malessere, una debolezza inesprimibile, come per
una lunga inanizione. Anche nelle pene attuali, la natura
umana richiedeva il suo sostentamento. Con uno sforzo
penoso allungai il braccio sinistro per quanto me lo per-
mettevano i legami, e presi il piccolo avanzo di cibo che
i topi avevano creduto di lasciarmi. Mentre ne portavo
un boccone alle labbra, mi balenò alla mente un pensie-
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