Page 129 - Odi e Inni
P. 129
... stanco... vecchio...
piano piano
muovi la sua culla!
Dolce... errare
op...
dolce... il nulla.
E il dolce canto s’annullò nell’aria;
né più cantò che il mare sulla spiaggia
con lo sciacquare dell’eterne ondate.
E presso il cuore d’Odisseo dormente,
gemeva il fonte d’Aretusa, noto
alla sua cara fanciullezza estinta.
E nell’antro sonava il sottil fischio
delle spole immortali, e il lento tonfo
degli immortali pettini: le ninfe
tessean tuttora su’ telai di pietra.
E nell’olivo grande, alto, fronzuto,
errava qualche squittinio d’uccello
che s’era desto; e qualche arguta stilla
gocciava su le nere alghe del lido:
ché la nebbietta, a ritardare il giorno,
dai cupi botri qua e là fumava,
simile a placido alito di sonno.
E l’eroe si svegliò. Sobbalzò tetro
ai primi raggi che di tra la nebbia
uscian, dell’alba; e tutto era mutato;
e tutto gli mostrava altri sembianti:
le lunghe strade ed i tranquilli approdi,
e le rupi scoscese e i casolari
da cui s’alzava, sfaccendando, il fumo.
E i peri e i meli gli fiorian diverso
da quel che, assenti, nella sua memoria,
gli avean per dieci e dieci anni fiorito
perennemente. E non udì nell’antro
stridere lievi i pettini e le spole
delle sue ninfe, ed a’ suoi piedi invano
gli narrava i suoi primi anni Aretusa.
Stette e guardò la patria terra, e disse:
127