Page 89 - La mirabile visione
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scrivere altro che per volgare... e simile intenzione so che ebbe
questo mio amico a cui ciò scrivo, cioè che io gli scrivessi
solamente in volgare" (VN. 31). Fu confermato in tal consiglio, e
così bene, che Dante poi difese l'uso del volgare nel Convivio e
ne teorizzò nel trattato della Eloquenza e lo sublimò nella
Comedia. E ora, con le parole di appunto questa sua Comedia in
volgare, rimprovererebbe tal consiglio di lui e tal uso di tutti e
due all'amico? E più che mai è assurdo pensare a un disdegno di
Guido per la ragione sommessa alla fede; la qual ragione così
sommessa fosse simboleggiata in colui che attende là. Il che non
è; ma se fosse, a Dante si farebbe dire che Guido, d'alto ingegno,
non disdegnava la sommessione alla fede, bensì la ragione; come,
per tacer d'altro, si rileverebbe dalle parole di Virgilio: (Pur. 18,
46)
Quanto ragion qui vede
dirti poss'io, da indi in là t'aspetta
pure a Beatrice ch'è opra di fede.
Nè si esce dall'assurdo, imaginando che la disdegnata o il
disdegnato sia Beatrice o Dio. Lasciando al solito ogni altra
considerazione, la risposta, in tal caso, di Dante non sarebbe
cominciata col dire: Da me stesso non vegno; e non avrebbe
continuato con l'indicare la guida; ma poniamo anche che il Poeta
con quel giro di parole mostri... che altro se non una cotal
vergogna di andare a Dio o Beatrice? Poniamo questo assurdo:
ma il fatto è che Dante nella sua risposta non inchiuderebbe se
non la notizia che era inclusa nella domanda del Cavalcante, il
quale sapendo che Dante è vivo e va per il cieco carcere, sa
appunto che fa un viaggio di contemplazione, con la sua altezza
d'ingegno, e che la contemplazione è di Dio.
Ma che giova indugiarci? La mia dichiarazione non è di quelle
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