Page 84 - La mirabile visione
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aggiungo; chè all'abito consegue l'uso di ciò che s'è perfettamente
acquistato (Co. ib.); sì che noi leggendo questo verso (Par. 10, 43)
perch'io lo ingegno e l'arte e l'uso chiami,
ci troviamo innanzi sempre quella triade: la strenuità
dell'ingegno, l'assiduità dell'arte, l'abito delle scienze, che allora è
perfetto, quando noi possiamo usarne.
Fermiamo dunque nella mente nostra che Dante proclama
necessari alla sua visione l'ingegno, l'arte e l'abito e uso
conseguente delle scienze, ch'egli, quasi allegorizzando, dice non
essere se non la memoria delle cose ch'egli udì e vide; e non vide
certo nè udì a quel modo che dice; ma studiò e apprese e ritenne e
usò. L'ingegno l'aveva da sè; ed egli lo riconosceva dalle gloriose
stelle dei Gemini (Par. 22, 112), qual che egli si fosse; e anche
assai giovane se lo riconosceva, sebben dicesse: un poco (Co. 2,
13); e lo riconosceva, perchè sottintesa, in tutto il libello della
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Vita Nova, circola questa frase del libro della Sapienza: "Puer...
eram ingeniosus et sortitus sum animam bonam"; frase che
echeggia sotto le parole di Beatrice: (Pur. 30, 115).
Questi fu tal nella sua vita nuova
virtualmente, ch'ogni abito destro
fatto averebbe in lui mirabil prova.
In tale sua virtualità era certo anche l'ingegno. Ingegno egli
aveva: che gli mancava? Qual parola avrebbe usata Dante a
indicare, nel proposito dell'ingegno, in una parola sola, quel che
gli mancava? Nella Comedia fa dire a un angelo: L'altra vuol
troppa d'ingegno e d'arte; fa dire a Virgilio: Tratto t'ho qui con
ingegno e con arte (Pur. 9, 125; 27, 130); dice: La gente con
ingegno ed arte acquista. (Par. 14, 117) Facilmente questa parola,
61 Sap. 8. Lo cita il Perez, e se ne parlerà ancora.
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