Page 82 - La mirabile visione
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l'autore di quella tale e tanta novità; e il rimatore nuovo risponde:
           "Oh! non c'è da menarne vampo! è per un po' di studio che faccio,
           innamorato come sono del sapere!" E tale studio e amore è così,
           per così dire, fuor di noi, s'appartiene così poco all'io che dentro
           noi "in alto galla", che appunto il grande Poeta nostro lo raffigura
           in altra persona che con lui vada; in Virgilio. Ma l'ingegno si
           sottintende. L'amore spira; chi nota, se non l'ingegno? Lo studio
           detta; chi accoglie le sue parole, se non l'ingegno? Il "seguace
           ingegno", come Dante stesso dice (Pur. 18, 40): "Le tue parole,"
           cioè di te, o studio, "e il mio seguace ingegno... m'hanno amor
           discoverto" cioè, mi hanno data la conoscenza di codesta teorica
           sull'amore. Così come quella volta, è sempre. Con lo studio, ci
           vuol l'ingegno; e si capisce bene, tanto che si può anche tacere; e
           con l'ingegno, ci vuol lo studio; il che non si vuol capire da tutti;
           dai vecchi rimatori, per un esempio, come il Notaro e Guittone e
           Bonagiunta, cui questo nodo ritenne di qua del dolce stil nuovo di
           Dante: dagli stolti rimatori per un altro (proprio altro?) esempio,
           che "arte scientiaque immunes, de solo ingenio confidentes" si
           buttano ai grandi soggetti e al grande stile. Dante, no. Subito a
           principio della prima cantica del poema sacro esclama: (Inf. 2, 7)


                     o Muse, o alto ingegno or m'aiutate!

           o Muse, cioè, "tu, o  scienza medesima  del poeta". (VN. 25)
           Dunque  scienza  del poeta o  arte  poetica, e ingegno. E a capo
           della seconda cantica (Pur. 1, 1) fa alzar le vele alla navicella del
           suo ingegno e chiama ancora le Muse, cioè la scienza o arte:

                     O sante Muse, poichè vostro sono:


           come a dire che dell'arte poetica è ormai padrone. E a capo,
           infine, della terza più sublime parte dell'opera sua, se non l'alto





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