Page 468 - La mirabile visione
P. 468

scire. E invero nella seconda può dire  sum, perchè è risorto o
           rinato,  sciens, perchè dallo studio è stato addotto all'arte e alla
           sapienza,  et volens, perchè donde bevve quell'onda santissima?
           Da Eunoè, ossia dal buon volere. E non è, l'ascendere di grado in
           grado,   tutto   una   purificazione,   tutto   un   alleggerimento   della
           volontà,   dalle   macchie   e   dai   pesi   che   la   tirano   giù?   sì   che
           all'ultimo, libero dritto e sano è l'arbitrio, e l'uomo è vago di
           girare e penetrare la divina foresta? e dopo essere stato tuffato
           nell'oblìo di quei pesi e di quelle macchie, e dopo aver bevuto il
           supremo ristoro di quel volere,  vuole  salire alle stelle, essendo
           puro e disposto; e perciò sale? E lassù di sfera in isfera giunge a
           quello stato di coscienza divina e perfetta, in cui può dire, Scio
           esse me et velle, tratto com'è nel moto circolare dallo Spirito
           Santo che illumina, e che è sol quello che può far sì ch'uomo dica:
           Scio.
              Scio, cioè  novi, cioè  vidi. La terza cantica è propriamente
           quella nella quale Dante può dire:  Vidi. Tutto il viaggio è di
           contemplazione;   ma   le   prime   due   descrivono   l'esercizio,
           contemplativo sì, ma di vita attiva, esercizio che  dispone  alla
           contemplativa   propriamente   detta.   La   quale   è   propriamente
           narrata e descritta nel paradiso, dove, Dante dice; Fui io e vidi;
           (Par. 1, 5) il che è più solenne del primo: ciò ch'io vidi. (Inf. 2, 8)
           Più   solenne,   come   si  scorge   dalla   reiterata   e   raddoppiata
           invocazione; più solenne, come si scorge dal tacito confronto con
           le parole sottintese di S. Paolo: Scio hominem in Christo... (sive
           in corpore nescio, sive extra corpus nescio, Deus scit), raptum
                                               521
           huiusmodi usque ad tertium caelum . Dante che nei due primi
           regni è stato un eroe della vita attiva (un pius vates, se non un
           guerriero) che ha contemplato, un Enea novello che discende agli
           inferi e riesce all'Elisio, che entra lì per lamenti feroci e qui per
           canti, (Pur. 12, 113) come l'Enea antico, (Aen. VI 274 sq. 557, e
           poi   644,   657)   ora   è   quell'altra   persona   che   nel   principio,

           521   Ad. Cor. II 12, 2.


                                         468
   463   464   465   466   467   468   469   470   471   472   473