Page 467 - La mirabile visione
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sono nuovi, in Dante, che appunto altra volta s'indugiò su quel
verbo. (Co. 4, 16) La prima operazione per salire al paradiso
celeste è il fissarsi di Beatrice nel Sole; nell'alto Sole, che invano
desiano i sapienti del limbo, nel Sole degli angeli.
Nella terza cantica Dante giunge a fissare, per intercessione di
Maria, che fu l'ispiratrice del gran viaggio, l'occhio nella Trinità.
A un tratto la mente è percossa "da un fulgore in che sua voglia
venne". Poi il suo velle è volto. Da chi? Dall'Amore. La terza
cantica è del velle che corrisponde alla terza persona della Trinità:
al primo Amore o Spirito Santo. Una tomba che vaneggia, una
fonte che gorgoglia, una ruota che gira, sono le tre imagini con le
quali si chiudono le tre cantiche, in cui Dante dice: Sum et novi et
volo. Egli, per ricorrere ad altra opera del medesimo autor di
Dante, est, videt, amat, o viget, lucet, gaudet. Uscito dall'aura
morta, est e viget; portato da Lucia alla porta della purgazione e
passato attraverso il fuoco della visione, videt e lucet; col suo
volere mosso dall'amore pien di letizia, amat e gaudet. Essentia,
Scientia (=Sapientia), Amor sono le tre parole di S. Agostino che
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Dante avrebbe messe come titolo alle sue tre cantiche .
Ma questi tre concetti s'intrecciano nella fantasia di Dante in
mirabili modi, che noi appena appena possiamo imaginare. Certo
vediamo che il velle e il nosse è con l'esse nella prima cantica,
rispondendo forse alla formula agostiniana ultima: Volo esse et
scire. La "virtù possente" per la quale, vinte la dubbiezza e la
viltà, entrò dalla porta oscura, e morì e si seppellì, è bene il
volere. (Inf. 2, 11) Volle Dante riapplicare al sacramento lustrale,
ricevuto da bimbo, la sua volontà. Volle morire, per rinascere,
esser sepolto per riveder le stelle (quattro spiccano lucide nel
cielo australe), volle esse, e volle scire. Egli si mise nell'alto
passo e nell'altro viaggio, con lo studio, con un savio che tutto
seppe; e da lui a mano a mano imparava e con lui vedeva e per lui
sapeva. Egli dice dunque nella sua prima cantica: Volo esse et
520 Aur. Aug. Civ. D. XI 24 e 27.
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