Page 437 - La mirabile visione
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(eppure ha loro detto il fatto loro), e parte, come pensando ad
           altro che a quella pur grande impresa che ha compiuta. "E il
           muoversi del magnanimo sembra dover esser lento, e la voce
           grave, e la parola ponderata; chè non ha mai fretta...". Come è
           impazientemente aspettato da Virgilio il Messo! Ma egli giunge a
           tempo, nè prima nè dopo, e tuttavia piuttosto dopo che prima.
           Dante sopra tutto ha ricordata del magnanimo un'altra nota, quella
           di esser "pronto a contraccambiare con più, che non abbia avuto;
           chè così viene ad essere riobbligato chi ha fatto il benefizio, e
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           diventa egli il beneficato" . Enea era obbligato al Poeta che ne
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           aveva celebrata le gesta: ora lo riobbliga .
              I tronfi od orgogliosi (si ricordi "l'usato orgoglio" dei colombi)
           e   audaci,   coi   pusillanimi   e   timidi,   della   palude   Stigia   (così
           corrispondenti agl'ignavi del vestibolo, come i sepolti nell'arche
           dal   coperchio  sospeso  corrispondono   ai  sospesi  del   limbo),
           dànno, tutti insieme questi e quelli, il concetto dantesco di accidia
           in operare e vedere . Sicchè possiamo dire che le lezioni di
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           Virgilio sui peccati dell'inferno e del purgatorio sono date nel
           medesimo ripiano centrale, che è dell'accidia carnale e spirituale,
           fra tre e tre peccati, che sono nel purgatorio di amor soverchio del

           460   Id. ib. 24.
           461   Potrebbe alcuno metter fuori la virtù della mansuetudine, alla quale sono
              opposti i vizi contrari tra loro dell'ira e della "troppa pazienza contra li
              nostri mali esteriori". (Co. 4, 17) Ammettendo che qualche nota e dell'ira e
              della pazienza si trovi nei mobili e immobili dello Stige, vediamo peraltro
              che la virtù loro opposta è la fortezza umana di Dante e Virgilio, e la
              magnanimità,   o   fortezza   eroica,   del   Messo   del   cielo;  non   davvero   la
              mansuetudine degli uni o dell'altro. E se la mansuetudine non è la virtù
              loro, non sarà l'ira propriamente il vizio delle "rane" loro opposte.
           462    Rimando al molto che ne scrissi in MO e Vel. Si continuerà a ripetere
              uggiosamente,  cui vinse l'ira, l'ira, l'ira? Buon prò lor faccia. Studiamo
              piuttosto   perchè   Dante   abbia   usata   quella   parola   fuorviatrice.   Sì:   per
              nascondersi, per far prova dell'acume del lettore; ma anche perchè qui volle
              fare un trattato dell'ira passione, che è sprone di fortezza e magnanimità, se
              è retta; e causa di tronfiezza e pusillanimità, se non è o è vana. E qui mal
              invischia e nel primo cerchietto mal immolla.


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