Page 434 - La mirabile visione
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questi peccatori peccarono gli uni nella vita attiva, gli altri nella
           contemplativa. E s'intuisce  che peccarono d'accidia, carnale e
           spirituale;   manifestamente,   d'accidia   spirituale,   gli   eresiarche,
           perchè furono volontariamente ignoranti, e la ignoranza si riduce
           ad accidia; e più che manifestamente gli altri del pantano, de'
           quali i fitti nel fango dicono d'essere stati tristi e di aver portato
           dentro "accidioso" fummo e non possono dire il loro inno con
           parola integra. Ora l'accidia è tristizia che mozza la voce.
              Ma si obbietta: quelli che rissano, sono tali cui vinse l'ira: non
           dunque accidiosi, ma irosi. Non mai si ebbe dagli interpreti di
           Dante così mala luce come nel considerare quest'espressione: cui
           vinse   l'ira;   la   quale   significa   che   non   dominarono   l'appetito
           irascibile, come quelli dei cerchi precedenti sommisero la ragione
           al talento concupiscibile; e non può significare rei d'ira, perchè
           l'ira è libidine di vendetta: ora, o la vendetta fecero, e allora
           fecero ingiuria e sarebbero in Dite, o non la fecero, e allora l'ira
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           senza vendetta è tristizia e non ira . Masopra tutto è da notare
           che   rissosi   e   fitti   nel   fango   sono   tra   loro   come   nel   cerchio
           precedente   gli   avari   e   i   prodighi   che   sono   rei   de'   due   vizi
           collaterali alla virtù di liberalità. Qual è la virtù che sì i rissosi e sì
           i fitti misconobbero in modo opposto tra loro? È, e non può
           essere altra, la fortezza, nella quale Dante fonde la magnanimità,
           (Co. 4, 26) la fortezza, di cui cote e calcar è l'ira; l'ira passione
           incolpevole, e non vizio; l'irascibile. E Dante chiama dunque
           orgogliosi e tristi quelli che il Filosofo chiama audaci e timidi,
           pusillanimi e tronfi o gonfi. Chè audacia e timidità sono i due vizi
           collaterali alla fortezza; e la pochezza d'animo e la tronfiezza
           sono quelli collaterali alla magnanimità . E che Filippo Argenti
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           452   MO. pag. 95 Vel. pag. 333 sgg.
           453   Arist. Eth. Nic. IV 3. Questa dalla magnanimità fusa nella fortezza (vedi
              pag. 195) è aggiunta che faccio in questo libro. E non dubito che non sia
              per essere persuasiva. Filippo Argenti come si comporta nella palude e
              come è descritto nella sua Fiorenza, è il tipo di quelli che Brunetto Latini,
              traducendo   Aristotele,   (che   ha  chaunoi)   chiama   (ahimè!   uso   l'ed.


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