Page 430 - La mirabile visione
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chiama! È Beatrice di cui sei amico, che cura di te! Eppure, torna
           lo stesso. Seppellisci Miseno, vuol dire, Esci dal tuo involucro
           terreno. Va a Beatrice, significa, La tua mente si diparta dal
           corpo. Ella è morta, e i morti non si trovano se non morendo. Ella
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           è la sapienza, e la sapienza non si vede se non mentis excessu .
              Dante, dunque, e per rivedere Anchise e per rivedere Rachele,
           va "a immortale secolo" e si seppellisce. "Ma" ecco dice S.
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           Bernardo  "come nel battesimo siamo tratti dalla potestà delle
           tenebre e trasferiti nel regno della eterna carità, così nella, per dir
           così,   seconda   rigenerazione   di   questa   santa   professione
           (propositi), usciamo in simil modo dalle tenebre, non del solo
           peccato originale, ma dei molti attuali, e riusciamo al lume delle
           virtù,   adattando   di   nuovo   a   noi   il   detto   dell'apostolo:  Nox
           praecessit, dies autem appropinquavit" . In questo, che si può
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           dire il sommario della divina Comedia, notiamo il detto di S.
           Paolo, come appare e riappare nel poema. Nella selva oscura
           Dante erra di notte; riprende via nel giorno: nox praecessit. Un
           sonno pari a quello di che era pieno quando entrò nella selva,
           precede il passaggio dell'Acheronte. La notte è al suo colmo,
           quando il Messo del cielo gli apre le porte di Dite. Tutta una notte
           è quella passata nell'inferno; (Pur. 23, 122) è vicino il giorno
           quando si trova alle falde del santo monte: dies appropinquavit. E
           s'appressava il giorno, quando è da Lucia trasportato, nel sonno,
           alla porta del purgatorio: e la notte precedè, quando si mise a
           cercar la divina foresta; ed era  mane  sul balzo del purgatorio,
           quando   salì   al   cielo.   (Par.   1,   43)   Dalla   notte   al   dì.   E   il   dì
           veramente   s'appropinqua   sempre,   e   mai   non   giunge   sino   al
           momento del "fulgore", in cui Dante vede l'unione della carne al
           Verbo, che è la gran meta del poema sacro, del poema in cui si
           abbandona la vita umana per la divina e si concilia e s'insegna

           443   Vedi a pag. 27, e prima e dopo.
           444    È la continuazione del passo capitale già citato dall'opera  De praec. et
              dispens. cap. XVII, 54.
           445   ad Rom. XIV 12.


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