Page 415 - La mirabile visione
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al proprio possesso di quella per cui sospirano, ma ottenendo,
           tutto al più, ciò che è espresso in queste dubbiose parole: "per le...
           tre virtù si sale a filosofare a quella Atene celestiale, dove gli
           Stoici e Peripatetici ed Epicurei, per l'arte della verità eterna, in
           un volere concordevolmente concorrono". (Co. 3, 14) Concorrono
           nel volere e non giungono: vedono, per l'arte del vero, (Par. 13,
           123) e trovano lucide dimostrazioni, ma posseder la sapienza che
           amano e sospirano, non possono. L'arte non è la sapienza: con
           Matelda si trovano; avanti a Beatrice, che pur li va a trovare nella
           loro sede tenebrosa, e mostra loro gli occhi suoi attraverso il
           fuoco   della   loro   mondizia,   avanti   a   Beatrice,   a   cui   pur
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           concorrono, spariscono .
              A loro è negato salire all'Atene celestiale. A loro è interdetta
           quella verace filosofia che è la contemplazione. Essi restano, con
           tutto il fuoco che li ha purificati, puri sì, ma non disposti a salire
           alle stelle, per quanto lo desiino e sospirino; sicchè, per quanto
           grandi e veggenti, oltre la vita attiva non vanno, sebbene siano o
           siano per essere all'estremo limite di essa, dove, passando il Letè,
           potrebbero, sì, dalla loro Matelda essere offerte alla danza delle
           quattro ninfe che furono già con loro viventi (elle erano in terra,
           prima che vi scendesse Beatrice); ma non potrebbero aver gli
           occhi acuti dalle altre che miran più profondo.

           415    Chi poi sia Matelda, è grande controversia. AMancini in un opuscolo
              (Matelda  etc. Lucca, 1901) dimostra fondata su un equivoco la nuova
              candidatura proposta da MScherillo (Rivista d'I. III, 11). Si tratta sempre
              della Matilde di Hackeborn già propugnata da ALubin. Nuovi argomenti in
              favore di questa porta il Mancini (Ancor su Matelda etc.) in Riv. d'I. E io
              non nego che Dante abbia potuto ispirarsi alle Rivelazioni di questa Beata.
              Ma certo più s'ispirò alla storia di Matelda contessa, la quale, come ricorda
              LRocca (Matelda in Con Dante etc. Hoepli 1898) è detta da Donizone una
              Marta insieme e Maria (pag. 142) come l'arte è insieme della vita attiva e
              contemplativa,   della   vita   attiva   dispostasi   alla   contemplativa.   Poi   la
              contessa era nepote d'un imperatore e protettrice della chiesa: univa in sè
              queste due instituzioni che male discordano. Era spirituale e temporale. E
              sua madre si chiamava Beatrix. Nell'Eden ell'è come figlia di Beatrice.


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