Page 402 - La mirabile visione
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misero, questi frutti non li diedero, al modo stesso che, essendo in
           luogo luminoso e alto, vivono nelle tenebre; che sono gli spiriti
           magni. Nè ignavi, nè parvoli innocenti, nè spiriti magni furono
           mai   vivi,   sebbene   respirassero   e   mangiassero   e   bevessero,   e
           fossero   pure   Aristotile   e   Plato:   vissero   della   vita   vegetativa
           soltanto, perchè l'operazione loro o fu nulla o fu annullata. Così
           gl'ignavi sono vivi e morti, nel tempo stesso, e nè vivi nè morti,
           come chi, nel mondo, vivesse sempre nella selva oscura, in cui
           raggia la luna e non si vede, in cui è quasi morte e pur non se
           n'esce se non morendo; così i sospesi dal limbo formano una
           selva di spiriti spessi, e hanno un lume che non è lume. Nè vita nè
           morte: uno stato di  sonno, come si può chiamare il vegetare,
           senza sentire e muoversi e ragionare. Molto simili a questi sono
           gli eresiarche "che l'anima col corpo morta fanno". Essi sono
           messi dal Poeta in sepolcri, i cui coperchi caleranno nel giorno
           del giudizio. Ora i coperchi sono sospesi. Dopo, il "cimitero" non
           lascerà uscir più una voce, un segno di vita. Essi sono i morti nel
           regno de' morti. Non contano: sono come non ci fossero. E pure
           vivono e soffrono. Anch'essi nè vivi nè morti.
              Al   triangolo   si   aggiunga   un   canto:   divien   quadrangolo.
           L'uomo, con la potenza sensitiva sopra la vegetativa, da arbore o
           selva diviene "animale bruto". (Co. 4, 7) Sebbene abbia anche la
           potenza vegetativa, tuttavia si dice di lui che è una "cosa con
           anima   sensitiva   solamente".   Quella   è   sottintesa,   come   nel
           quadrangolo è sottinteso il triangolo; anzi l'anima loro, a parlar
           meglio, non è triangolo, è quadrangolo, cioè sensitiva. Questa
           condizione è raffigurata dal poeta con paragoni ad animali bruti, e
           con simboli di animali bruti che abbiano una natura sola, cioè il
           solo appetito sensitivo. I peccatori, invero, d'incontinenza, sono
           paragonati a gru, stornelli e colombe, i carnali; (Inf. 5, 46 etc.) a
           cani che urlano, i golosi; (ib. 6, 19) a cani che abbaiano, gli avari;
           (Inf. 7, 43) a ranocchi o botte gorgoglianti nel limo, i tristi; (ib.





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