Page 377 - La mirabile visione
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XXXI.

                                  ENEA E CATONE

                     Io non Enea, io non Paolo sono;


           dice Dante a Virgilio, nel disvolere ciò che volle. (Inf. 2, 32) Essi
           andarono   a   immortale   secolo,   ossia  excesserunt,   morirono
           rimanendo vivi, l'uno per dare inizio all'impero, l'altro per recar
           conforto alla fede. E l'impero essendo stabilito per la venuta del
           Cristo, come dice il Poeta anche qui (ib. 16), i due viaggi mistici,
           di Enea e di Paolo, sono come un sol viaggio: l'uno prepara,
           l'altro integra la fede. E Dante, per gli ammonimenti del suo vate
           sibillino, tornando a volere ciò che aveva disvoluto, diventa Enea
           e Paolo in uno, l'eroe dell'impero e l'apostolo delle genti, il
           precursore del Veltro e il predicatore del Cristo.
              Enea, nel vangelo che scrisse Virgilio, trova aperta la porta di
           Dite:

                     noctes atque dies patet atri ianua Ditis.
                                                      (Aen. VI, 127)

              Dante si vede che ha posta attenzione a questo verso. Egli fa
           che avanti la venuta del Cristo, Dite regnasse sino alla porta
           dell'inferno, mentre dopo, la sua particolare sovranità fu limitata a
           quella che nella Comedia è veramente la porta della città "ch'ha
           nome Dite". Dice invero Dante che i patriarchi salvati dal Cristo
           erano preda di Dite; (Inf. 12, 38) e dice che i piovuti del cielo
           erano, quella volta, a difesa della porta men segreta, su cui è la
           scritta morta. (ib. 8, 125) Non c'era, prima del Redentore, alto e
           basso inferno; c'era l'inferno; non c'era questo e quel peccato:


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