Page 373 - La mirabile visione
P. 373

Virgilio che chiama  raptores i lupi (II 356), ben altro che mali
           tenitori delle loro ricchezze; sono cercatori e rapitori delle altrui.
           Virgilio vide le reità e le pene, intorno alla morte di Gesù, poichè
           l'imo dell'abisso era già di Giuda; non molto dopo, perchè nel
           viaggio non vide Caifas. Si deve credere, dunque, che questo
           mutamento intorno al posto dell'avarizia avvenisse per effetto
           della redenzione. Furono, cioè, dopo la morte di Gesù, puniti
           della pena degli avari felli, pur fuori del Tartaro, certi ignavi di
           genere nuovo: gente che non operò, per questo amor soverchio
           delle ricchezze, nè ben nè male. Invece che nel vestibolo a correre
           punti da mosconi e vespe furono messi dentro l'inferno a rotolar
           massi, con pena più grave nè meno infame, pur sempre analoga,
           perchè anch'essi vanno continuamente. Perchè sceverarli dagli
           altri ignavi? Perchè la giustizia di Dio deve più gravare su loro,
           meno dovendo fissarsi alla terra essi, cherci e papi e cardinali.
              Ma a meglio conoscere il pensiero di Dante ci conduce il
           considerare la palude Stigia. In essa è uno che  stende ambe le
           mani alla barca di Flegias. Lo Stige, Dante sapeva da Servio, che
           prendeva l'arena e il fango di Acheronte per condurlo a Cocito:
           per Stygem, dice Servio. (ib. 257) Sull'Acheronte Enea vide gente
           che pregava di passare, tendebantque manus. (ib. 314) Enea vede
           alcuni   de'   suoi,   Leucaspi   e   Oronte,  maestos  (333),   un   altro,
           Palinuro, maestum. (340) Sono tutti e tre mortis honore carentes.
           (333) Notiamo perchè si tenga conto dell'associazione dell'idee e
           delle imagini, precipua nel creare del poeta, che tutti e tre sono
           morti annegati: ce li figuriamo grondanti d'acqua. (361) Dante
           non   traversa   l'Acheronte   in   barca;   sì   in   barca   lo   Stige   che
           dall'Acheronte deriva. Non vede egli sulla riva di là dello Stige
           gente invidiosa d'altra sorte; sono nello Stige stesso i peccatori
           che   a   quella   gente   assomigliano.   Or   nello   Stige   a   Dante   si
           presenta un mesto, un che piange; che stende poi le mani; che è
           un fiorentino come lui, un da lui ben conosciuto, per quanto pien
           di fango. Non è un insepolto, come non sono insepolti, quelli,



                                         373
   368   369   370   371   372   373   374   375   376   377   378