Page 370 - La mirabile visione
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deve osservar iustitiam, e riverir gli dei, il che è pietas: dunque:
           osservate   la   giustizia   e   la   pietà   o   religione.   Ma   di   ciò   egli
           ammonisce i morti; e i morti di Dante, in Dite, hanno infatti, più e
           meno, vergogna della lor colpa, secondo che furono colpevoli
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           contro la giustizia o contro la religione . È la coscienza della
           loro reità, ossia l'aver commesso coscientemente il lor fallo, in cui
           ebbe parte o la volontà, o la volontà e intelletto insieme, con, più
           o meno, l'irresistibile predominio dell'appetito, che tragitta i felli
           dall'inferno superiore all'abisso inferiore. E tal coscienza l'hanno,
           per   pena,   anche   laggiù.   Dante   ce   ne   mostra   un   esempio   in
           Capaneo   che,   non   maturato   dalla   pioggia   di   fuoco,   è   però
           straziato dalla mala volontà impotente; e un altro in Vanni Fucci,
           anch'esso acerbo, che è martoriato dalla vergogna. Ma oltre la
           vergogna, corre a maturarlo il Centauro pien di rabbia, che è
           dunque simbolo visibile di quell'intellettual coscienza. Così sono
           gli   altri   punitori:   centauri,   arpie,   cagne,   Malebranche.   Tutti
           hanno,   o   strali   o   rostri   o   denti   o   sferze   o   raffi   o   maciulle,
           equivalenti a ciò con cui Radamanti subigit fateri i suoi rei, il che
           Dante può aver creduto essere il flagello della Furia. (ib. 570)
              I rei della Sibilla sono, oltre i Giganti o Titani, alcuni puniti in
           modo singolare, altri in modo promiscuo o indeterminato. Dei
           primi Salmoneo (ib.  585) ha riscontro in Capaneo, che ha la
           crudel pena del riconoscere la sua impotenza e il trionfo di Giove
           che lo fulminò. Dante ha anche un suo  Tityo  in Caifas proteso
           nella bolgia sesta. Giuda infine e i due uccisori di Cesare sono,
           con   pena   singolare,   maciullati   dalle   tre   bocche   di   Lucifero:
           pendono se non radiis rotarum (ib. 616) o scopulo (VIII 669) a'
           ceffi (Inf. 4, 65) del primo superbo, districti anche loro e tementi
           la bocca di Dite, se non delle Furie (VIII  669); non hanno il
           tormento della fame loro inflitto dalla "massima delle Furie" (VI
           605),   ma   sono   essi   medesimi  mangiati,   come   per   fame,   dal
           massimo dei mostri. C'è derivazione per analogia e contrasto e

           370   Vel. pag. 267 sgg.


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