Page 371 - La mirabile visione
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amplificazione.   Delle  pene   generali   di   Dante   alcune   trovano
           riscontro in quelle di Virgilio. Ma in Malebolge e nella Ghiaccia
           Dante narra le pene, le quali, due volte, la Sibilla dice di non
           volere e poter narrare; (VI 614, 625); e sono accennate nell'ottavo
           libro nè dichiarate, se non per Catilina, che in certo modo è il
           modello della pena dei due uccisori di Cesare,  pendendo  dallo
           scoglio   e   temendo   la   bocca   (ora,   che   però   va   interpretato
           diversamente) delle Furie. Dunque Dante con questo suo viaggio
           allarga e compie le notizie della Sibilla: sa ciò che Enea non potè
           sapere, pur avendolo chiesto. (ib.  560) Tuttavia, la prima delle
           bolgie (Inf. 18, 35) ha quel suon di sferze, che è precipuo nel
           Tartaro Virgiliano (ib. 558); la sesta, che è la bolgia capitale, ha
           quel Tityo che dissi; sono qua, nella settima, i serpenti, che non
           mancano là; (ib. 571) e la fame che vide la Sibilla, (ib. 604) ha
           qualche cosa della sete che vide Dante: là le mense, qua i ruscelli
           avanti gli occhi. (Inf. 30, 64) E infine tutti i dannati di Dante
           patiscono   spiritualmente   lo   strazio   dell'avvoltoio   che   cima   il
           fegato   immortale;   (ib.  597)   e   ve   n'ha   chi   patisce   pur
           materialmente e visibilmente la lacerazione delle viscere fecunda
           poenis, (Inf. 28, 41) fecunda perchè le ferite si richiudono. Manca
           in Virgilio il gelo di Cocito; ma Cocito (Dante pensò) Enea non lo
           vide, nè sentì narrarne alla Sibilla, come del Flegetonte; chè si
           dice, sì, che l'Acheronte finisce in Cocito; (ib.  297) si afferma
           altrove, "tu vedi i profondi stagni di Cocito e la palude Stigia";
           (ib.  323) ma quest'ultima affermazione contradirebbe il primo
           detto, e va quindi interpretato con discrezione. Senza far troppo
           forza alla lettera dell'Eneide, Dante poteva credere o far credere
           che lo stagno fosse nell'imo Tartaro, più giù del Flegetonte. Ed
           ecco balena a noi il pensiero di Dante. Egli fa narrare a Virgilio
           d'essere stato laggiù, dopo morto (Inf. 9, 22), e d'aver perciò
           veduto anche ciò che la Sibilla, l'altro  vates, di cui egli aveva
           cantato, non aveva narrato: il più basso loco e il più oscuro: e
           perciò   di   sapere   perfettamente   il   cammino   anche   delle   parti



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