Page 343 - La mirabile visione
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discederà, (Pur. 20, 10) e quello, nutrito di sapienza, virtù e
           amore, che la ricaccerà nell'inferno, donde l'invidia la mosse. (Inf.
           1, 101) Nel canto proemiale Dante non si dilunga intorno a questo
           aspetto della lupa; anzi, per quanto un cenno ne faccia, non ha
           scelta l'imagine in modo, ch'egli potesse farne più che un cenno.
           Ma insomma la lupa è anche una fuia, sciolta, e  cupida  anche
           d'altro che di terra e peltro. E così assomiglia a quella "illudens
           cupiditas, more Sirenum, nescio qua dulcedine vigiliam rationis
           mortificans" (Ep. V 4); ricorda quella "dominantem cupidinem",
           che non solo vuol impedire (cohibentem) con minaccie (vane,
           quella volta, perchè c'era in Italia quello che Dante potè credere il
           Veltro, e non fu!), ma blandisce con velenoso sussurro; (Ep. VI 5)
           e accieca. (ib. e 3) E anch'essa è bramosa e in questa frase sono le
           due qualità della lupa, la fame insaziabile e la seduzione:  dira
           cupiditatis ingluvies illexit. (ib. 2) E Dante preparava nel pensiero
           la figura di questa lupa, quando parlava della culpa vetus (che fu
           causata dall'invidia del serpente)....  quae plerumque serpentis
           modo torquetur et vertitur in se ipsam. Infatti la lupa fu scatenata
           nel mondo dall'invidia del diavolo, ossia fu prodotta dalla prima
           colpa, nè per altra ragione ella è chiamata "antica", (Pur. 20, 10)
           come   "antica"   è   la   selva   dell'Eden,   (ib.   28,   23)   E   Dante
           s'apparecchiava alla sua terribile sintesi del male, quando parlava
           d'una  vulpecula  fetida,   che   è   anche   una   vipera,   una   pecora
           marcia, una Mirra, un'Amata, una parricida, una ribelle, pur piena
           di carezze e finzioni per allettare i vicini. Ora ognun vede che
           questa cupidità allettatrice, blanda, di molti uomini, che accieca e
           avvelena, e che è serpente, è proprio la frode. Si sa dove Dante
           pone le fuie e le Taidi e le Mirre.
              L'avarizia in Dante sta in questo rapporto con la cupidità: nella
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           seconda è sempre la prima, nella prima non è mai la seconda .
           Nessun avaro del cerchio d'inferno e della cornice del purgatorio
           è anche cupido. Ciò per una chiarissima ragione. La cupidità è

           348   Vel. pag. 159.


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