Page 340 - La mirabile visione
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obbietto sè e Dio. Può questo obbietto, il mal di Dio e di sè essere
d'altra potenza dell'anima. Di quale? Della volontà.
Ben l'amore è distinto del volere. Leggete il verso (Pur. 18, 96)
cui buon volere e giusto amor cavalca,
e ricordate il terzetto della cupidità, che è detta liquarsi
nell'iniquo volere, e non essere una cosa con quello. Il superbo
(dice Virgilio) e l'invido e l'iroso amano il mal del prossimo, ma
con esso amano anche il bene proprio; il primo, eccellenza, il
secondo podere, grazia, onore e fama, il terzo, vendetta. Poniamo
che il superbo sopprima il vicino, che l'invido impedisca ad altri
di sormontarlo, che l'iroso si vendichi. Essi allora non si
appagano d'amare il male del prossimo; bensì lo vogliono; ed è, la
loro, iniqua volontà.
E Pier della Vigna? Egli volle, sì, il male di sè; chè a sè fece
ingiuria, a sè giusto; e ingiuria è fine di malizia, e fine non è se
non della volontà. Volle dunque il male di sè. O per questo s'ha a
dire, che il male di sè, l'amava? No: tutt'altro: di sè amava il bene,
cioè la vendetta ch'egli prendeva come bene. In questo amare il
bene e fare il male, o amare il mal del prossimo e fare il suo, è
quella stolidezza che ognuno nota sempre nel peccato; e più è da
notare in questi in cui entra l'ira o il disdegnoso gusto. Ma in tutti
si vede. Il più ignorante dei peccatori (una specie di mulino a
vento o di maciulla) è quegli che era il più sapiente degli angeli:
Lucifero.... Or bene se a Dante si chiedesse: o non amò egli il mal
di Dio? risponderebbe che no: egli amava l'eccellenza che è un
bene, e la sperò: se la sperava, la riteneva possibile, non credeva
che Dio fosse Dio, anzi credeva che fosse un suo vicino da
sopprimere; onde se amò il mal di Dio, l'amò ma come di
prossimo, non come di Dio, ch'egli non volle riconoscere. Così
risponderebbe, o altrimenti; che certo non presumo di rispondere
io per lui, specialmente nel fatto di Lucifero, che sto per dire, è
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