Page 301 - La mirabile visione
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che drizzan ciascun seme ad alcun fine,
secondo che le stelle son compagne,
ma per larghezza di grazie divine
che sì alti vapori hanno a lor piova
che nostre viste là non van vicine,
questi fu tal nella sua vita nuova
virtualmente, ch'ogni abito destro
fatto averebbe in lui mirabil prova.
Ma tanto più maligno e più silvestro
si fa il terren col mal seme e non colto,
quant'egli ha più del buon vigor terrestro.
Nella mente di Dante appariscono imagini analoghe a quella delle
susine vere. Persino qui è una piova, che per essere direttamente
contraria a quell'altra pioggia continua, non però la ricorda meno.
Il fatto è che le susine vere sono opposte alle prugne selvatiche,
che sono un "mal seme e non cólto". Sicchè si può sospettare
nella parole di Beatrice in paradiso una lieve ironia e un accenno
discreto al suo amatore che nella sua primavera dava così bene a
sperare, mostrava già un dolcissimo frutto di sè, e rischiò
d'inselvatichire e di diventare un bozzacchione...
Come? Rimanendo nella selva, o tornandovi dopo esserne
uscito. Essere nella selva significa essere selvatico, appuntino. La
selva è appunto questo o non fiorire o fiorire senza frutto, del
volere. È l'ignoranza e la difficoltà che nascono dall'umana colpa;
a cui consegue in questo mondo, facile è intuirlo, tolto ogni
sapere o vedere o operare, una nullità assoluta in vita e in morte.
Che l'uomo che v'è dentro, è un cieco, un servo, un parvolo
d'animo, un bozzacchione, uno di cui, quando muore, si può dire
che non fu mai vivo. Essere nella selva significa essere nella
condizione di "arbori..." cioè di tali "che non hanno vita di
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