Page 291 - La mirabile visione
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poenalia del peccato cui la nostra natura "peccò tota nel seme
suo", cioè in Adamo. (Pur. 7, 85) E così almeno per l'ignoranza,
vediamo che Dante acconsente al santo padre, nel concetto di tal
penalità, dando per lutto a quelli che desiderarono invano la luce
questo medesimo desiderio di luce, il quale a sua volta era pena
anche in lor vivente; pena e non destino o necessità.
Ora questa difficultas e questa ignorantia sopravivono al
battesimo? Rileggiamo: (Pur. 16, 75)
Lume v'è dato a bene ed a malizia,
e libero voler che, se fatica
nelle prime battaglie col ciel dura,
poi vince tutto, se ben si notrica.
Il volere, per quanto libero e per quanto illuminato, dura fatica,
cioè prova difficoltà. Ma chi lo libera, il volere, chi lo illumina? Il
battesimo che ha "virtù illuminativa e fecondativa alle buone
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opere" . Dunque, secondo Dante e secondo tutti i padri e i
dottori, anche dopo il battesimo la volontà umana, in
conseguenza dell'umana colpa, deve faticare per conservare,
diciamo, quel lume e quella libertà, provando sempre difficoltà e
ignoranza.
E Dante dice, quando: nelle prime battaglie. Dice, che bisogna
notricarlo, il volere; e notricare è parola di fanciullezza. E in
verità Marco Lombardo continua la sua spiegazione (Pur. 16, 85)
così:
nell'affermazione sua, che i grandi uomini non cristiani potessero essere
esenti di questa necessaria conseguenza dell'umana colpa. E tuttavia non
fare può (e Dante volle che potesse) interpretarsi, come vedo interpretare,
per "non vedere". Darò di qui a poco l'interpretazione esatta del pensiero di
Dante.
266 Summa 3a 65, 1; 67, 1; 69, 5.
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