Page 290 - La mirabile visione
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Luogo è laggiù non tristo da martiri,
ma di tenebre solo, ove i lamenti
non suonan come guai ma son sospiri.
Quivi sto io co' parvoli innocenti
da' denti morsi della morte, avante
che fosser dell'umana colpa esenti.
Dunque, Virgilio non fece. E Dante al medesimo fa dire altrove:
(Pur. 3, 38)
Se potuto aveste veder tutto
mestier non era partorir Maria;
e disiar vedeste senza frutto
tal che sarebbe lor disio quetato,
ch'eternamente è dato lor per lutto.
Questo disio ch'ebbero i non battezzati in vita, e hanno in morte
per castigo (vivono con disio senza speme), è quel medesimo che
è detto nell'altro passo riferito: di veder l'alto Sole. Dunque in vita
desiderarono invano e invano sospirano in morte il sole, il lume:
quel lume che vien dal sereno, e che se dal sereno non viene non
è lume ma è tenebra; (Par. 19, 64) quel lume, nel fatto, che è nel
limbo (Inf. 4, 68, 103, 116) e che pur non impedisce che sia luogo
di tenebre. (Pur. 7, 29) . Insomma il macchiato della colpa
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originale, è nel limbo per non aver fatto e per non aver veduto il
lume. Questo non fare e non vedere sono appunto ciò che S.
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Agostino chiama difficultas e ignorantia , le quali sono
264 Vel. pag. 67.
265 Vedi Aur. Aug. de libero arbitrio, lib. III, passim. Dante riconosce negli
spiriti magni l'esercizio delle quattro virtù morali, il ben fare; quindi non
riconosce in loro questa difficultas, la quale è in supremo grado negli
ignavi del vestibolo. Ma con le parole "non per far ma per non fare" messe
in bocca a Virgilio, sana quel non so che d'eretico che sarebbe
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