Page 287 - La mirabile visione
P. 287

Carcere cieco, è la formula esatta e comprensiva dell'inferno,
           luogo dove non è più volere e non più lume. Ma con ciò non si
           deve confondere il peccato, che è un difetto e non un reo, è un
           non fare, non un fare, di Virgilio e dei parvoli innocenti, che pur
           sono   "nel   primo   cinghio   del   carcere   cieco",   con   gli   altri
           prigionieri, tormentati e sepolti, del cieco carcere. Come non si
           deve credere che nella selva oscura ci sia altro che quel difetto di
           volere e di lume, che dicemmo. In verità, dicano quelli che
           vedono nella selva oscura ogni vizio, dicano, perchè non sono in
           essa le tre fiere, dicano perchè le fiere siano nella radura e non nel
           folto e si mostrino di giorno e non di notte. Ci sono nella selva
           oscura tutti i vizi e peccati fuor che quelli figurati nelle tre fiere?
           Questo,   s'intende,   chiedo   a   quelli   che   non   credano   ancora
           (suppongo che sian pochi) che le tre fiere siano tutto il peccato
                  261
           attuale . Siano, invece, tre peccati speciali, invidia o lussuria,
           superbia, lussuria o avarizia, o quel che vogliano gl'interpreti; ma
           questi   medesimi   interpreti   si   propongano   ora   anche   altri
           problemi; se tutti i peccati o vizi eran nella selva oscura, come
           mai questi tre son fuori, nella piaggia diserta? Oppure: quali son
           dentro, posto che dentro siano quelli che non son fuori? perchè gli
           uni sono figurati in una selva (vedremo che d'un solo peccato o
           d'una sola condizion d'animo, la selva può essere figurazione) e

           261   Il caro e bravo NVaccalluzzo nella recensione del Vel. (Rassegna critica
              della   L.   A.   di  Percopo,  pag.   65-84)   nota:   "Io  credo   con...   (un  altro,
              un'autorità) che il sistema del Casella, con alcune mutazioni, possa ancora
              sostenersi, specialmente con l'inversione fatta dal Pascoli". Vedo da queste
              parole la via per la quale le mie dichiarazioni passeranno nella scienza
              dantesca: passeranno come mutazioni, magari lievissime, di nessun conto e
              merito, di sistemi altrui. E sia. Morirò anch'io; e a me morto si renderà
              quella giustizia che, ora a confronto d'un morto, a me vivo si rende così
              scarsa. Del resto, passeranno, passeranno. Non ne dubiti l'egregio amico;
              che conclude: "Ma chi sa? anche qui si finirà col tornare agli antichi!" Sulla
              spiegazione del Casella rispetto alla mia, scrissi nel Marzocco del 20
              gennaio 1901 e in un num. seg. Così in n. precedenti, del 7, 14, 28 ottobre
              del 1900, avevo trattato del Disdegno di Guido e del Dolce stil nuovo.


                                         287
   282   283   284   285   286   287   288   289   290   291   292