Page 281 - La mirabile visione
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la via; rada, questa, come si capisce dall'antitesi, sia che fonda
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           indichi il mezzo, sia che indichi il folto .
              Ma con ciò (intendiamoci!) non cessa la distinzione tra selva e
           piaggia.   Solo   si   deve   avvertire   che   bisogna   aggiungere   un
           aggettivo a selva traendolo, anche più che dalla sua asprezza e
           fortezza, dal tempo che Dante vi passò. Nella selva egli fu di
           notte, nella piaggia si trovò di giorno. Selva oscura, dunque:
           oscura, non ostante che ci fosse la luna, non ostante che la luna
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           fosse piena ; perciò oscura, perchè molto spessa. E tuttavia il
           concetto d'oscurità proveniente dalla notte, predomina, così come
           spesso   l'essenza   mistica   mal   si   accomoda   sotto   la   pervenza
           letterale.
              Per   dirla   più   esattamente,   la   selva   della   Comedia   è   quel
           medesimo che la selva del Convivio. Della quale il poeta così
           parla: "L'adolescente ch'entra nella selva erronea di questa vita,
           non saprebbe tenere il buon cammino...". (Co. 4, 24) La selva
           erronea è la vita; la vita cosciente, nella quale si erra se non si è
           guidati. E così è la selva della Comedia: la vita, nella quale è
           l'oscuro e il chiaro, la via diritta e la via torta, anzi due grandi
           strade e molti tragetti. "Noi potemo avere in questa vita due
           felicità, secondo due diversi cammini buoni e ottimi, che a ciò ne
           menano: l'una è la vita attiva, e l'altra la contemplativa". (Co. 4,
           17) Sono, le operazioni proprie di queste due vite, "vie spedite e
           direttissime a menare alla somma beatitudine, la quale qui non si
           puote avere". (Co. 4, 22). Ora, queste due vie che menano tutte e
           due a Dio, Dante altrove chiama, e ben a ragione, "cammino (al
           singolare) di nostra vita", che è volto al termine del suo sommo


           255   Anche questo non è nel Vel. Molti antichi conducono a credere, come io
              dico qui. E molti moderni così credono.
           256    NVaccalluzzo nel citato opuscolo fa acute considerazioni sul fatto che
              Dante nel primo canto non accenna alla luna, e s'induce a credere che a
              mettere il plenilunio in quel suo errore fosse ispirato dopo. Vedi però Vel. a
              pag. 283. E tuttavia il V. non ha torto a porre la questione, che è invero
              importantissima. Come si vedrà.


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