Page 260 - La mirabile visione
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           fermò egli a Forlì, da Scarpetta degli Ordelaffi? È possibile . Ma
           ecco che un cavaliere, di potente famiglia e di liberali studi, sa di
           lui; e lo invita a venire a Ravenna. Potrà vivere colà quieto,
           benchè la città sia guelfa; lo assicura il cavaliere gentile, che è
           spregiudicato ed equanime. D'altra parte, egli si guadagnerà il suo
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           pane insegnando in quello studio . Oh! sì: rinunziamo a tutto;
           alle parti e magari alla patria! E ripensa alla sua Beatrice, che

           238   Vedi in CRicci, L'U. R. pag. 39.
           239   Prima di tutto mi sia permesso dire una sciocchezza: quel pane sapeva,
           appunto,  di sale, se già d'allora i romagnoli salavano il lor pane, come ora,
           giovandosi, specialmente a Ravenna, la cui aquila vi stendeva i suoi vanni, del
           molto   sale   di   Cervia.   E   un'altra   sciocchezza.   Nell'ecloga   si   accenna,   da
           Fiorentino a Fiorentino, alla comune  mala coenula di farro, in cui Melibeo,
           ossia ser Dino, deve imparare a ficcare i denti duris crustis. Spiaceva ai due
           fiorentini il pane, quale s'usa fare anche oggi in Romagna, con la crosta
           scrosciante sotto i denti? Oltre il sale, anche la solida fattura e vigorosa cottura,
           spiaceva ai due fiorentini? Solito vezzo degli esuli o spatriati dissimulare col
           mal di stomaco, il mal di cuore! "Non sanno fare nemmeno il pane!" E colui
           che c'è da più tempo, Dante, scherza amaramente, invitandolo ad assuefarsi e
           rassegnarsi, con l'altro che c'è capitato di fresco. E anche questo è un po' di
           riprova che Dante, nel 1319, era da tempo in Ravenna.
           Ma in che qualità? Di lettore nello studio, afferma il Ricci. (U. R. pag. 78)
           Nega il Novati.  (op. cit. 7 sgg.)  A me par certo che non fosse là in tal
           condizione da essere obbligato a Guido Novello, come fu ai Malaspina e sperò
           d'essere agli Scaligeri, e da poter o dover dire di ricevere da lui un beneficio.
           Faceva là, e n'era modicamente retribuito, qualcosa che avrebbe mutato con
           qualcos'altro. Egli mal soffriva di mangiar quel pane duro e di quell'aver che
           fare, come Melibeo, con le  capellae  di Ravenna; e sperava in Can Grande.
           Quelli che suppongono in Dante tal brama di "convento" per potere insegnare,
           contradicono a ciò che mostra di noia e di malumore per dovere insegnare.
           Perchè, le capellae che cosa sono se non scolares? e come, di Melibeo solo
           scolares, se le rassegnavano tutti e due insieme, Melibeo e Titiro, e tutti e due
           aspettava al fin della giornata l'istessa  mala coenula  di farro, cotta nella
           medesima capanna? e come, se quel di Guido aveva a chiamarsi un vero
           beneficio di signor magnifico, come, come non avrebbe Dante consegnato a
           noi, dal poema sacro, il nome di Guido Novello, come consegnò quelli dei
           Malaspina e degli Scaligeri? Dante era a Ravenna maestro, non molto alto, da
           appagarsene in sè, non troppo basso, che il povero Ser Dino non fosse più


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