Page 233 - La mirabile visione
P. 233
Nella prima ecloga Dante volle dire: Quando io avrò fatto il
paradiso, e sarò coronato poeta, Mopso ci troverà a ridire?
(concedat Mopsus? Sarà contento, approverà? O meglio ancora:
cederà? si ritratterà? si ricrederà? E concedere (neutro) avrebbe il
senso, presso a poco, d'un revocari, facendo passivo il revocare
del verso che segue dopo alcuni altri:
Quid faciemus, ait, Mopsum revocare volentes?
Titiro: "Sarà contento Mopso?" oppure: "si ricrederà Mopso?"
Melibeo: "Mopso? come?"
Titiro: "O non vedi che di volgare non ne vuol sapere?"
Melibeo: "Che faremo per farlo ricredere?"
Titiro: "Tu conosci (tu a cui sono ignoti i carmi o i pascoli
latini) la mia pecora prediletta: l'ultima cantica del mio poema.
Bene: gliene manderò dieci canti. Così comprenderà che posso
ottener la gloria di poeta grande e regolare, o, se si vuole (ma non
ci credo), esser laureato, senza scrivere versi latini, come vuol
lui.
In vero nella seconda ecloga egli fa dire ad Alfesibeo che sarà
coronato, senza andare a Bologna; anzi non andrà a Bologna,
perchè avrà già avuta la corona. Che necessità d'andarci? perchè
affrontare Polifemo? esporre agli odii degli empi un capo sacro
per la fronda peneia?
Ma questa fronda peneia per me è più probabilmente
metaforica. Infatti, l'egregio critico di più sopra, assevera che
Dante non avrebbe potuto ottenere il convento con il poema
207
volgare . Se lo sappiamo noi, lo sapeva anche esso. Ora nel
paradiso diceva che l'avrebbe preso per il suo poema, il cappello:
207 FNovati, Op. cit. pag. 98. E ci sono altre osservazioni da fare. Che autorità
aveva Giovanni del Virgilio di proporre a Dante o il modesto convento o la
solenne e rarissima cerimonia della, diremo, gran laurea poetica? Come
poteva Dante credere di Giovanni un'autorità come d'un Roberto di Napoli
o d'un senatore di Roma?
233