Page 228 - La mirabile visione
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ricordano. Oh! sia pure che quel concedat, come dirò tra poco,
           significhi "approverà, sarà contento": ma come possiamo credere
           che   a   vincer   la   crudeltà   dei   suoi   cittadini   Dante   credesse
           necessario, oltre il poema sacro, anche dieci bucoliche dirette a
           Giovanni del Virgilio bolognese?
              Ma più che di laurea si tratta di gloria: il trionfo ha da essere
           senza cavalli bianchi. Dante è per compiere un vero poema.
           Quando scriveva il Trattato d'eloquenza, nemmeno sospettava che
           fosse possibile. Egli l'ha composto e compone con quel proximius
           imitari  "i poeti grandi, cioè regolari", (VE, 2, 4) che non può
           meglio esser significato che col farsi discepolo di Virgilio, col far
           la mente seguace delle parole sue. (Pur. 24, 101) Due cantiche
           n'ha compiute. In esse egli si mette per sesto nel grande canone;
           in esse si trova a pari pari con Stazio, sebbene anche da lui si
           faccia ammaestrare (Pur. 25, 31), seguendo la "scuola" (ib. 21,
           93) dell'altissimo poeta. Giovanni del Virgilio gli scrive in versi
           latini, ricordandogli appunto, di esse due cantiche, gli episodi in
           cui Dante fa tal professione di essere un poeta vero, grande e
           regolare, sebbene versifichi in volgare, e di non differire in nulla
           da quelli: (VE 2, 4) ha detto d'essere sesto in quella scuola del
           signor del canto; ha detto e mostrato d'essere a Virgilio come a
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           Virgilio è Stazio . Ma ora viene il buono; ora ha da mostrar
           veramente ch'egli può poetare  magno sermone et arte regulari;
           (VE. ib.) ora gli è bisogno, nell'aringo rimaso, Apollo. L'alloro
           l'avrà con quest'"ultimo lavoro". Apollo, non Aretusa, gli deve
           concedere   "extremum   hunc   laborem",   che   non   è   un'ecloga
           pastorale, ma il paradiso della Comedia. (Par. 1, 1) Nel qual
           ultimo lavoro non ha più seco il dolce pedagogo; cioè, ha tanto
           studiato,   che   dell'arte   e   della   materia   è   padrone.   Non   è   più
           un'Eneide volgare, la sua: è più e meglio: è, per dirla brevemente,
           una Pauleide; il che sembra significare il Poeta con quella parola
           "vaso"  del valore, che richiama  lo vas d'elezione. Ora dunque

           193   Vel. pag. 461 e segg.


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