Page 232 - La mirabile visione
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chiamarsi Menalca, che è il compagno "buono" di Mopso, egli si
           dà il nome di Titiro, il nome più caro al suo maestro, perchè
           Mopso   a   Menalca   dice,  Tu   maior,   che   detto   dell'età,   può
           intendersi d'altro; perchè Menalca, forse, pare a Dante della stessa
           patria con Mopso, abitator del Menalo, come Coridone con Tirsi,
           Arcades ambo; perchè, certo, Titiro sta, nel pensier di Dante come
           nel nostro, atteggiato a meditare silvestrem tenui musam... avena;
           e   a   pascere   le   pecore,   cioè   cantare,   al   tempo   stesso,   umile
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           canto .
              Dunque, l'ovis in comparazione dei boves e armenta di Mopso,
           è veramente la poesia volgare rispetto alle latina. E presente al
           pensier di Dante era, e al nostro deve essere, in tutta l'ecloga, quel
           verso su cui l'ecloga si fonda:

                     Nec te poeniteat pecoris, divine poeta!


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              Divino poeta è Mopso, per essere Mopso , ed è detto e
           confermato per essere Gallo. Servio comentava il verso: Nec tu
           erubescas bucolica scribere: il che, mutato secondo l'andamento
           dell'ecloga nuova, riesce: Non ti dispiaccia ch'io cerchi la mia
           gloria nell'umile poesia volgare. Nè già nella bucolica! Giovanni
           aveva scritto un'epistola, proponeva argomenti epici, esigeva la
           lingua latina, contemplava  hominum superumque labores: tutto
           ciò Dante, traducendo in istile bucolico, afferma essere un dar
           fiato a calami, nel Menalo circondato e difeso da un fiumicello,
           con intorno bovi e armenti. Dunque, interpretando (ma a nessuno
           verrà   in   mente!)   a   quel   modo,   si   dovrebbe   dire,   che   anche
           Giovanni fosse poeta bucolico, più propriamente bucolico, cioè
           bovino, e Dante s'assegnasse un genere bucolico inferiore, cioè
           ovino. E concludiamo.

           205   Ecl. V 4; VII 4, I 2; VI 3. Quest'ultima è citazione di FNovati (Op. cit. pag.
              58):  Cum canerem  reges et proelia,  Cynthius aurem Vellit et admonuit:
              Pastorem, Tityre, pinguis Pascere oportet ovis, deductum dicere carmen.
           206   Ecl. V, 45.


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