Page 222 - La mirabile visione
P. 222

diciamo noi: allora almen l'uno de' due pensava tutto al contrario)
           a lasciare il sermone laico e la lingua volgare; a non gettar perle
           ai porci, a non mettere una plebea guarnacca alle sorelle Castalie.
           Egli vuole che canti epiche imprese recenti, la salita al cielo
           d'Enrico imperatore, la sconfitta dei gigli fiorentini per opera del
           Faggiolano, le sevizie patite dai Padovani,

                     et Ligurum montes et classes Parthenopaeas.


           Poi promette di presentarlo alle scuole bolognesi ornato di laurea:
           il che può essere, e anche non essere, una proposta di conventarsi
           a Bologna.
              Dante risponde con un'ecloga pastorale: "Ebbi la tua lettera.
                                                                      177
           S'era io e il mio Melibeo (un certo ser Dino Perini fiorentino) , e
                                                 178
           rassegnavamo, secondo il nostro solito , le capre pasciute. Esso,
           che voleva conoscere il carme che m'era giunto, mi dice: - O
           Titiro (Dante), che vuol Mopso (Giovanni del Virgilio)? Narra. -
           Io, o Mopso, rideva; ed esso insisteva vie più. Finalmente, per il
           ben che gli voglio, smisi di ridere, e gli dissi: - Pazzarello, che
           cerchi? Bada piuttosto alle capre che ti sono affidate, sebbene la
                                      179
           piccola cena ti dia pensiero . Tu non sai i pascoli, che il Menalo
           col capo inclinato, celando il sole, adombra : i pascoli dall'erba
                                                      180
           177    Queste   e   simili   dichiarazioni   si   devono   all'anonimo   glossatore
              Laurenziano.
           178   Poco importa a qual parola si unisca de more. Ma mi pare sia da unire a
              recensentes. Virgilio ha pasti tauri, (ecl. 7, 39, 44) saturae capellae (ecl.
              10, 77) senz'altro.
           179   Quamquam mala coenula turbet. Mi pare si riferisca a tutti e due, a Titiro
              e Melibeo. Mangiavano tutti e due lo stesso pane delle sette croste. Lo dice
              Dante all'ultimo dell'ecloga, dove ci fa sapere persino in che consisteva la
              coenula: parva tabernacla et nobis dum farra coquebant.
           180   La glosa vuol che significhi lo stil bucolico (bucolicum carmen). Non mi
              pare. Giovanni del Virgilio non aveva scritta un'ecloga bucolica, sì un cotal
              sermone oraziano. Vuol dire la poesia latina. Ser Dino è poco saputo di
              latino, come vedremo. E Titiro ride di codesto. O di che altro? Notiamo la


                                         222
   217   218   219   220   221   222   223   224   225   226   227