Page 218 - La mirabile visione
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persona,   bensì   sapendo   ch'egli   era   la   spada   e   lo   scudo   dei
           Ghibellini. E le cose che Cacciaguida disse e Dante non ridisse,
           incredibili cose, hanno da avere attinenza con questa sua qualità.
           E con quel suo nome forte, aggiungo io; con quel suo nome che
           non dinotava solo una bestia dall'agil corso, e che può nutrirsi di
           così ideal cibo, e fornire così alta impresa; ma si trovava a
                                                                    170
           significare anche altro. Invero si legge in Giovanni Villani , dei
           Tartari: "fecero per divina visione loro imperatore e signore un
           povero fabbro di povero stato, che aveva nome Cangius, il quale
           in su uno povero feltro fu levato Imperatore; e come egli fu fatto
           signore,   fu   soprannominato  Cane,   cioè   in   loro   linguaggio
           Imperatore. Questi fu molto valoroso e savio...". Difficilmente si
           potrà   negare   che   tra   questa   leggenda,   assai   diffusa,   e   la
           concezione del cane Dantesco, che è un imperatore, nato tra feltro
           e feltro, ci sia qualche relazione. Ma se ne avesse ancor più di
           quel che paia? Che Dante osasse concepire l'incredibile speranza
           che  il  vicario  imperiale, che  portava  "sulla  scala (per  cui  si
           ascende) il santo uccello", potesse essere fatto imperatore? che
           quella, la quale alla morte di Arrigo, non era forse più che
           un'imagine ingegnosa, sembrasse a Dante medesimo, nel 1318,
           un vaticinio destinato ad avverarsi tra le  contese del Bavaro e
           dell'Austriaco? Il nome l'aveva già:  Cane. E  sarebbe stato un
           imperatore nato, cioè eletto, come Cangius, fuor dell'aspettazione
           del trono; tra feltro e feltro, in certo modo; non tra le porpore
           tessute, bensì tra i peli battuti; come il Cane tartaro, che, secondo


           170    Istorie Fiorentine, V 29. Il Boccaccio nel suo Comento ricorda "alcuni
              altri" che pensarono appunto a' Tartari e al feltro di che inviluppano il
              morto corpo de' loro imperatori. Un moderno, Bassermann, dichiarò il
              veltro  essere   l'imperator   de'   Tartari.   Nelle   note   alla   Vita   di  Dante   di
              CBalbo, scritte da Emmanuele Rocco (Napoli, 1840) a p. 175 si legge: "Io
              per   me   son   quasi  certo   che   nel   Veltro   di  Dante   debba   intendersi  un
              Imperatore o già eletto o da eleggersi. Ed in conferma accennerò un fatto
              che pare ci abbia qualche relazione, e ch'è raccontato da GVillani etc.". E
              riporta il passo che io riporto.


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