Page 214 - La mirabile visione
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egli supponeva avesse intrapresa; se gli altri, l'uno ricorda solo la
Monarchia e il poema, l'altro con le parole
conditor eloquii lumenque decusque latini
sembra alludere al poema soltanto, come a me par di ritrarre dal
verso che segue,
vulnere saevae necis stratus ad sidera tendens,
che vuol dire: abbattuto dalla morte mentre si alzava alle stelle,
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cioè mentre scriveva il Paradiso . A ogni modo il poeta di
quest'ultimo epitafio, che è Minghin da Mezzano, non accenna ad
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altra interruzione che, se mai, a quella della Comedia . E del
Convivio (limitandoci a questo) non è punto menzione in sì fatti
epigrammi, nè nelle ecloghe, sì di Dante, sì di Giovanni del
Virgilio. Il Convivio non lo finì, non perchè non potesse, ma
perchè non volle.
Forse Dante cominciò la Comedia subito, dopo l'interruzione
del Convivio, appena egli seppe della discesa d'Arrigo? No. Nella
Comedia si canta la rinunzia alla vita civile, resa impossibile
dalla mancanza o assenza dell'imperatore; e questa rinunzia e
questa impossibilità è dichiarata nel primo canto angolare del
poema. Non poteva dunque Dante dichiarare e l'una e l'altra,
quando s'attendeva l'imperatore, che avrebbe sgombrata a lui e
agli altri la via. A voler credere che il poema fosse iniziato
nell'aspettazione o d'Alberto (che questo argomento vale anche
per lui) o di Arrigo, bisognerebbe supporre che il poema dovesse
Intorno a cui vedi FNovati Indagini e Postille Dantesche, Bologna 1899, pag.
37 sgg. Io non credo, come dirò di qui a poco, che Dante volesse fare un
opus di dieci ecloghe; credo però che Giovanni del Virgilio lo credesse.
163 Vedi su questo e sugli altri epitafi il bellissimo libro di CRicci, L'ultimo
rifugio di D. A. p. 249 segg.
164 Di che parleremo.
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