Page 209 - La mirabile visione
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ha nè da Dio, nè da sè, nè da altro imperatore, nè dal
consentimento di tutti o dei più. Assevera che la virtù di dare
autorità all'impero è contro alla natura della chiesa. Conchiude
che l'imperatore immediatamente dipende dal principe
dell'universo che è Dio. Chè Dio assegnò due fini all'uomo
secondo che è corruttibile o no; e a guidarlo a questi due fini
elesse l'imperatore e il pontefice. "Ma la verità di quest'ultima
quistione non si deve così strettamente intendere, che il Principe
Romano non sia al Romano Pontefice in alcuna cosa soggetto;
poichè questa mortale felicità alla felicità immortale sia ordinata.
Cesare adunque quella reverenza usi a Pietro, la quale il
primogenito figliuolo usare verso il Padre debbe, acciocchè egli
illustrato dalla luce della paterna grazia, con più virtù il circolo
della terra illumini". (M. 3, 15)
Tutto ci dice che questo trattato è in parte svolgimento, in
parte anche correzione di ciò che in proposito a Roma e impero
aveva Dante scritto nel Convivio, e che si connette strettamente
alle epistole. Fu cominciato dunque quando egli interruppe il
Convivio e il libro di eloquenza volgare. Ma, per altri rispetti
sembra preceduto dalla Comedia. Sì che si deve ritenere che negli
ultimi anni della sua vita egli lo riprendesse e finisse,
rispondendo alla bolla di papa Giovanni, e sotto il dominio d'una
vaga speranza che s'affaccia nel Trattato come serpeggia nella
Comedia. Che nel Trattato sembra attendere un Salvatore, come
nella Comedia un Veltro e un Messo del cielo.
XVIII.
IL VELTRO
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