Page 205 - La mirabile visione
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cum videam populos vana meditantes, ut ipse solebam: cum
           insuper doleam reges et principes in hoc uno concordantes, ut
           adversentur Domino suo et unico suo Romano Principi". E così
           ripete le parole del salmo in favore del popolo glorioso e di
           Cesare.   (2,   1)   Queste   parole   sono   dovute   a   quella   stessa
           ispirazione   del   momento   storico   che   dettava,   per   esempio,
           quest'altre delle epistole:  Non igitur ambuletis, sicut et gentes
           ambulant, in  vanitate sensus  tenebris obscurati; (Ep. V 10) e
           queste   altre:  iugum  libertatis horrentes  in  romani  principis...
           gloriam fremuistis. (Ep. VI 2).
              Nel secondo libro dimostra che il popolo romano a buon dritto
           si arroga l'uffizio della Monarchia o Impero. Tale assunto è in
           brevi parole pur nel Convivio, in cui il popolo Romano è detto
           santo; (Co. 4, 4) in cui si dimostra che l'impero ebbe spezial
           nascimento e spezial processo da Dio; in cui si conclude: "e certo
           sono di ferma opinione, che le pietre che nelle mura di Roma
           stanno, siano degne di reverenzia; e 'l suolo dov'ella siede sia
           degno oltre quello che per gli uomini è predicato e provato". (Co.
           4, 5) Qui, nella  Monarchia, dichiara che Dio la sua invisibile
           volontà mostrando per le cose visibili, come il suggello dà notizia
           di sè per il segno che ha impresso nella cera, anche se il suggello
           stesso   è   occulto,   ha   dato   quell'uffizio   dell'impero   al   popolo
           romano. Invero egli è il nobilissimo de' popoli, ed ha le due
           nobiltà, quella dei maggiori, quale è definita da Aristotile, e
           quella propria, quale è definita nelle parole di Giovenale: La virtù
           sola è nobiltà. Nel che è da vedere in qual nesso sia questo
           trattato politico col trattato morale che lo precede; la Monarchia
           col Convivio. Chè nel Convivio egli la definizione di Aristotile
           giudica   essere   secondo   la   sensuale   apparenza,   (Co.   4,   8)   e
           ammette per vera l'altra, sebbene non la esponga con le parole di
           Giovenale. Ora è manifesto sì che queste parole non le conosceva
           quando scriveva il Convivio, (sebbene di Giovenale altro sapesse
           - Co. 4, 12, 29) e le conosceva quando scriveva la Monarchia, la



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