Page 202 - La mirabile visione
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(ib.   10)   In   quella   ai   Fiorentini,   oltre   i   cenni   alla   divinità
           dell'istituzione imperiale, (Ep. VI 1) e alla funesta gola della
           cupidità, (ib. 2) e alla cecità che ne viene, (ib. 3) e alle sue
           blandizie, (ib. 5) ha il concetto che libertà è nell'impero. In quella
           ad Arrigo, egli quasi confonde l'imperadore col Cristo, quando si
           dice costretto a irrompere nella voce del Precursore: "Sei tu colui
           che deve venire o ne aspettiamo un altro?"; quando gli dice di
           aver gridato esultando in lui: Ecce agnus Dei! quando lo chiama
           prole d'Isai, e lo paragona a David che maneggia una fionda di
           sapienza e una pietra di fortezza. (Ep. VII 2, 8) Così è già
           delineato il concetto e l'imagine dell'imperatore che è un Cristo,
           in certo modo rinnovellantesi a conservar libera ciò che il Cristo
           già liberò: la volontà umana. La quale è di nuovo e sempre
           insidiata, tentata, sedotta dallo stesso antico serpente, dalla culpa
           vetus, cui già Maria o la Sapienza conculcò ma non uccise.
              Ora il trattato de Monarchia, scritto in latino come le epistole,
           in latino come il libro di eloquenza che Dante aveva alle mani nel
           tempo stesso che il Convivio; scritto in latino anche con fine che
           fosse inteso da chi il volgare non intendeva a sai o punto; è molto
           probabile fosse cominciato a comporre appunto in tempi, in cui le
           quistioni ivi trattate fossero vive e tra uomini d'ogni nazione
           d'Italia e fuori, e in tempi seguenti quelli degli altri due trattati,
           insieme connessi, che lasciava incompiuti; e in tempi prossimi
           all'epistole che, come il Convivio, contenevano accenni della
           materia di cui è materiata la Monarchia. In vero questo Trattato
           contiene   ne'   primi   due   libri   ordinate   e   svolte   tutte   le
           considerazioni   e   argomentazioni   sparse   nel   Convivio   e   nelle
           Epistole.   Dante   "pubblicis   documentis   imbutus"   vuole   recare
           alcun benefizio alla "repubblica". Non altra intenzione aveva nel
           concepire il Convivio la cui moralità trascendeva la vita privata.
           Enea, Catone non erano modelli di virtù casereccie. La rettitudine
           o  directio voluntatis  doveva servire per la gran via del mondo.
           Nel suo nuovo Trattato, più apertamente morale-politico, egli nei



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