Page 200 - La mirabile visione
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Arrigo, conte che fu di Lucimburgo", come lo chiamava la
signoria di Firenze, finiva a Buonconvento la vita sua e portava
con sè le speranze, se pur sino all'ultimo erano durate, dell'esule
Poeta.
In questo tempo dell'aspettazione e poi della venuta dello
sperato pacificatore, è da mettere, a parer mio, il trattato de
Monarchia. Al che non si oppone direttamente se non il fatto che
si trova citato il paradiso della Comedia, canto quinto. Questo è il
passo: "Hoc viso, iterum manifestum esse potest, quod haec
libertas, sive principium hoc totius nostrae libertatis, est
maximum donum humanae naturae a Deo collatum", alle quali
parole, alcuni codici, secondo lo Scartazzini, tutti, secondo lo
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Scheffer Boichorst , fanno seguire quest'altre: Sicut in paradiso
comediae iam dixi. Per ora notiamo che non si deve intendere che
Dante pubblicasse, al tempo del cursus di Arrigo, bensì
componesse, il Trattato. Quale è la notizia del Boccaccio:
"Similmente questo egregio autore nella venuta di Arrigo VII
imperadore fece un libro in latina prosa, il cui titolo è Monarchia,
il quale, secondo tre quistioni le quali in esso determina, in tre
libri divise". Pubblicato non fu forse mai in suo vivente. Invero,
quando gli argomenti, che in quel libro erano, furono usati in
favore di Lodovico duca di Baviera, il Cardinal del Poggetto lo
dannò, e proibì che non lo dovesse studiare alcuno. Se fosse stato
pubblicato al tempo della venuta di Arrigo, qualche segno di
riprovazione si sarebbe veduto da Fiorenza, e da altra autorità o
città. Nè ci par probabile che Dante così tranquillamente potesse
cercare ospitalità presso il Polentano guelfo, se avesse così
fieramente messo il campo a rumore con tal libro ghibellinesco.
Non diede fuori allora, in quei due anni o poco più, il libro, nè
anzi lo compì, tanto rapido fu l'avvenimento che gli diede
occasione. Allora, scrisse probabilmente i primi due libri, nei
154 GAScartazzini, Dante in Germania, II, 317 segg. Id. in Giorn. stor. lett.
ital. I, 270 sg. - Scheffer Boichorst, Aus Dante's Verbannung, pag. 105-138.
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