Page 196 - La mirabile visione
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testimonianza di Leonardo Aretino, aveva scritto lettere "non
           solamente a' particulari cittadini del reggimento, ma ancora al
           popolo", chiedendo il ritorno. Quest'ultima cominciava con le
           parole, Popule mee, quid feci tibi; ed era dunque del tono con cui
           a   principio   del   Convivio   mostra   la   pia   brama   del   patrio
           dolcissimo seno. Quando la discesa era imminente, scrisse "a tutti
           e singoli i re d'Italia e senatori dell'alma città, a' duchi, marchesi e
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           conti, ed a' popoli" . L'umile italo Dantes Alagerii fiorentino ed
           esule   innocente,   pregava   pace   a   costoro;   e   indicava   i   segni
           precursori di questa pace: un'alba con la brezza mattutina. "Noi
           vedremo la gioia aspettata, noi che pernottammo a lungo nel
           deserto; chè è  per sorgere il Titano pacifico, e la giustizia, che
           languiva come fior d'eliotropio senza sole, rinverdirà, appena
           quegli avrà lanciato il primo raggio". L'imperadore verrà alle
           nozze con l'Italia che libererà dal carcere degli empi, e questi
           distruggerà, e affiderà la vigna ad altri vignaioli che rendano nella
           vendemmia   frutto   di   giustizia.   E   sarà   clemente,   e   concederà
           misericordia a chi la invocherà; nel punire sarà di qua del mezzo,
           nel premiare, di là. Non per questo e' non vorrà vincere: egli è
           Augusto e vorrà la sua fatale Tessaglia per distruggere del tutto i
           suoi  nemici.  O  Lombardi, figli  della  Scandia,  preparatevi  ad
           accogliere "l'aquila sublime che vien giù come folgore". "Non vi
           seduca la lusinghiera cupidità che a mo' delle Sirene, con non so
           qual dolcezza, mortifica la vigilia della ragione." E voi, oppressi,
           riprendete cuore: germinate il verde che frutta la vera pace, e
           perdonate; a ciò che l'Ettoreo pastore vi riconosca per pecorelle
           del suo ovile. Egli "quantunque da Dio abbia il potere di castigare
           temporalmente, tuttavia, perchè sappia odore della bontà di Lui,
           da cui come da un punto si biforca la podestà di Pietro e di
           Cesare,   volentieri   bensì   corregge   la   sua   famiglia,   ma   più
           volentieri ne ha pietà. Se dunque culpa vetus non pone ostacolo,
           la quale spesse volte come serpente si torce e si volge contro sè,

           149   Epistola V dell'ed. Fraticelli.


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