Page 194 - La mirabile visione
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Maria, era al tempo in cui Enea veniva da Troia in Italia. Tutta
           poi  la  storia   Romana  ci  attesta   che  le   braccia  di  Dio  erano
           presenti. (Co. 4, 4 e 5)
              Questa teorica imperiale non è necessario supporre che fosse
           pensata e scritta all'annunzio dell'elezione d'Arrigo. Già sotto il
           ponteficato di Benedetto parve che le idee dei Ghibellini e dei
           Guelfi potessero accordarsi; e Dante potè sperare il suo rimpatrio
           dall'opera d'un paciaro che era cardinale di Santa Chiesa e pur
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           ghibellino   d'origine .   Il   rimpatrio,   che   così   ardentemente
           bramava e così sommessamente chiedeva, a capo del Trattato
           primo, come egli non avrebbe voluto a patto d'alcuna viltà, così
           doveva credere possibile anche con siffatte teoriche imperiali.
           Però,   certe   parole   del   Trattato   quarto   possono   metterci   in
           sospetto, che Dante già sapesse dell'elezion d'Arrigo o del suo
           proposito di scendere in Italia. Son queste: "Oh! istoltissime e
           vilissime bestiuole che a guisa d'uomini pascete, che presumete
           contro a nostra fede parlare; e volete sapere, filando e zappando,
           ciò che Iddio con tanta prudenzia ha ordinato! Maledetto siate voi
           e la vostra presunzione, e chi a voi crede!" (Co. 4, 5) Ma no.
           Leggiamo quest'altre parole dello stesso Trattato: "..... quasi dire
           si può dello Imperadore, volendo il suo ufficio figurare con una
           immagine, che elli sia il cavalcatore della umana volontà, lo qual
           cavallo come vada sanza il cavalcatore per lo campo assai è
           manifesto, e spezialmente nella misera Italia che sanza mezzo
           alcuno alla sua governazione è rimasa". (ib. 9) Quest'imagine e
           queste   parole,  confrontandole  a   quelle   notissime   con  cui   nel
           purgatorio Dante rimprovera ad Alberto tedesco di non inforcare
           gli arcioni d'Italia, sembrano un residuo delle imaginazioni e dei
           parlari fatti al tempo in cui d'Alberto sperava e disperava; al
           tempo precedente il maggio del 1308, nel quale Alberto morì.
              Del resto sì fatte teoriche imperiali non toccavano il punto in
           cui era dissidio tra chiesa e impero, tra guelfi e ghibellini; punto

           147   IDLungo: da Bon. VIII ad Arr. VII. Cap. VIII.


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