Page 190 - La mirabile visione
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teoriche sulla lingua e sugli stili e sui generi letterari, che espose
           nel   libro   dell'eloquenza.   Nessuna   industria   di   critico   ci   può
           convincere   che   il   concetto,   il   quale   Dante   aveva   dello   stile
           comico, quando scriveva il libro di eloquenza, sia lo stesso che
           aveva, quando componeva la sua Comedia.
              Dalla comedia, in quello, escludeva il volgare illustre, e diceva
           non esserle adatto se non ora il mediocre ora l'umile. Ma il poema
           sacro doveva avere un paradiso, oltre i due primi regni; e non
           sarebbero sembrati summa quelli argomenti e da cantare summe?
           E diciamo il paradiso, e potremmo dire il purgatorio, dove sono le
           disquisizioni   sul   libero   arbitrio   e   sull'amore,   per   non   parlar
           d'altro; e potremmo dire l'inferno, dove è la lezione di Virgilio sui
           peccati e le pene: argomenti che il cantor della rettitudine avrebbe
           detto di "salute" e da "tragedia".
              Nel Poema era a Dante guida Virgilio sin dal primo canto della
           prima cantica; e l'ingegno dell'uno sin d'allora era seguace delle
           parole dell'altro: non si può significar meglio, per certo, quel
           proximius imitari. (VE. 2, 4) Or bene non sentiva già egli, se
           aveva già cominciato, che se c'erano nel poema delle cose da
           cantare comice ed elegiace, ce n'erano e ce ne sarebbero state da
           cantare tragice? E in volgare altissimo? Come non prevedeva egli
           che la sua Visione sarebbe stato un genere da racchiudere e i tre
           volgari e i tre stili? che avrebbe avuto luogo, in esso, e Salus e
           Amor e Virtus, soggetti degni, come diceva nel libro d'eloquenza,
           soltanto di canzone? Tanto più che il poema doveva essere o era
           contesto, in tutto e per tutto, del  superbissimum carmen, cioè
           dell'endecasillabo, che dà, col suo prevalere, gravità alla canzone;
           la quale quando comincia con un eptasillabo, fa sentire una cotal
           ombra d'elegia. (VE. 2, 12; 5) E avrebbe affermato che le canzoni
           son quelle che magis honoris afferunt? (VE. 2, 1) E avrebbe detto
           che sole le canzoni comprendono tutta l'arte? e non ciò che
           meditava o preparava o componeva, a cui doveva valere lungo
           studio   e   grande   amore,   e   in   cui   descriveva   fondo   a   tutto



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