Page 204 - La mirabile visione
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bene degli uomini. Quanto poi al potere, s'egli è Monarca, non ha
           nemici; dunque può senza opposizione alcuna. (1, 13) Il genere
           umano più è libero e meglio vive. Ora il principio della libertà
           nostra è la libertà dell'arbitrio ossia libero giudizio di volontà. Il
           giudizio   è   medio   tra   l'apprensione   e   l'appetito.   Se   l'appetito
           precede il giudizio, questi non è libero; è libero se esso muove
           l'appetito. Il bruto non è libero, perchè l'appetito in esso previene
           il giudizio: l'uomo sì, è libero, per il benefizio più grande che
           abbia avuto l'uomo da Dio. Soltanto sotto il Monarca l'uomo può
           ottimamente usare questo principio. (1, 14) Il Monarca solo può
           disporre gli altri, essendo meglio disposto esso, e perciò solo può
           reggere, perchè ha o nulla o poco di cupidità, e perciò più di
           giustizia. (1, 15) È meglio essere governati per uno che per molti.
           (1, 16) Una cosa è ottima quando è massime una, e l'essere uno è
           radice dell'esser buono, e l'uomo la famiglia la città il regno
           l'uman genere sono più buoni quanto più uni; e non ci è unità, nei
           voleri, se non c'è una volontà che sia donna e regolatrice delle
           altre   in   uno;   chè   le   volontà   de'   mortali,   per   le   lusinghevoli
           dilettazioni   dell'adolescenza,   hanno   bisogno   di   chi   a   bene   le
           drizzi. E questa volontà una è quella del principe uno. (1, 17) Ciò
           si conferma per una memorabile esperienza. Dal primo peccato
           che fu il "diverticulum totius nostrae deviationis" (togliendo la
           libertà   dell'arbitrio)   il   mondo,   sol   quando   venne   Dio,   il   re
           mansueto, in terra (a restituire tale libertà), ebbe pace universale e
           felicità. La qual felicità è come una veste inconsutile stracciata
           dalle unghie della cupidità.
              Questa   conclusione   non   è   così   generica,   se   ricordiamo
           l'invettiva del Convivio e le fiere parole dell'epistola ai Fiorentini
           e ad Arrigo. E più chiaramente dirette contro i principi e le città
           che contrastarono ad Arrigo l'esercizio dell'autorità imperiale,
           sono le parole del libro secondo, a principio. "Quare fremuerunt
           gentes"  comincia   egli,   col   salmo.   E   continuando   dice:   "cum
           gentes noverim contra Romani populi praeminentiam fremuisse;



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