Page 212 - La mirabile visione
P. 212
E poi sappiamo ciò che Dante s'aspettava da Alberto tedesco.
Le parole del poema riflettono certo i suoi pensieri degli anni che
corsero dall'elezione o dalla conferma alla morte di Alberto.
Questi doveva recar pace, mettendosi sulla sella della fiera
indomita e selvaggia; doveva venire ad aiutare i suoi fedeli e a
consolar Roma vedova e sola, da poi che non aveva più nè papa
nè Cesare. (Pur. 6, 82) Ciò che allora faceva chiedere a Dante la
discesa dell'imperatore, era il guerreggiar tra loro di tutti, e il
pullular di tiranni per tutto - fuor che in Fiorenza (aggiunge
ironicamente) che ha i suoi ordini di giustizia, e li muta e rimuta.
Or bene la lupa è bestia, senza pace, e chi la rimetterà
nell'inferno, darà pace al mondo; la lupa si ammoglia a molti
animali, e chi torrà lei, torrà anche questi che certo somigliano ai
faziosi e tiranni, contro cui doveva venire Alberto; sì; tuttavia io
sento che se Dante avesse scritto quel primo canto mentre le
condizioni d'Italia vedeva quali descrive nella digressione che
non tocca Fiorenza, non avrebbe figurato il cammino della vita
attiva come una "piaggia diserta", (Inf. 1, 29; 2, 62) quanto a dire
un mondo "tutto deserto d'ogni virtude", (Pur. 16, 58) poichè a
quei tempi il giardin dell'imperio era sì "diserto", ma c'erano
ancora a dar buona speranza di sè, se fossero stati aiutati da chi
doveva, tanti "gentili". (Pur. 6, 110) Ma questi non son più che
indizi contrarii. Pensiamo a queste altre ragioni. È verosimile che
Dante cominciasse il suo poema e poi l'interrompesse par fare il
Convivio? Il fine del Convivio è duplice: dare i precetti di vita
attiva e unire tal somma di dottrina da ottenere per essa il ritorno
nella dolce patria. E della Comedia è pur duplice il fine: il primo,
161
per usare le parole della epistola o Can Grande , non est gratia
speculativi negotii, sed gratia operis; il che s'accorda con ciò che
il Poeta fa dire a Cacciaguida, che la "visione" lascerà "vital
161 Dell'epistola a Can Grande è controversa l'autenticità, negata in questi
giorni dal D'Ovidio, difesa da FTorraca. A me man mano pare che
quest'autenticità risulti dall'esattezza singolare con cui è esposto il pensiero
di Dante: da chi, se non da lui stesso?
212