Page 176 - La mirabile visione
P. 176

popolano   che   fosse   di   schiatta,   Dante   iscrivendosi   nelle   arti
           poteva sentirsi rimproverare, anche da chi fu suo primo amico, di
           non essere nobile o non essere più. Ma prescindendo anche dalla
           sua persona, è ben certo che a quei tempi nessun discorso doveva
           essere più frequente e vivo di questo intorno alla nobiltà, in quella
           Fiorenza che nel 1293 faceva gli ordini di giustizia contro i
           Grandi,   nel   1295   li   riformava,   e   via   via   non   quetò   per   il
           malumore e il discordare di essi grandi o nobili. In tale aria
           ambiente è verosimile che Dante esponesse il suo pensiero, che la
           nobiltà consiste non nella ricchezza redata, con bei costumi o
           senz'essi, ma nelle virtù convenienti a ogni età dell'uomo.
              Questa canzone è "contra gli erranti"; ed è fatta per riprovare
           un giudicio falso; e ha quindi, non più per soggetto l'amore o
           Venus, sì la direzion della volontà o rectitudo o Salus (VE. 2, 2).
           Ma meglio considerando si troverà che pure trattando un de'
           magnalia, ed essendo diretta alla utilità, cioè alla salute, non ha
           per soggetto propriamente la direzion della volontà, se non in
           modo proemiale. Essa dice infatti: "Chi è nobile o non vile? Chi
           ha virtù. E che è virtù? Un abito eligente. Nell'elezione ha luogo
           la volontà. Virtù significa aver la volontà educata a scegliere, tra
           due contrari, il mezzo che è bene". Dunque della direzion della
           volontà è per trattare trattando della o delle virtù. E questo, che la
           nobiltà stia nella virtù, non è che il proemio al trattato della
           rettitudine. E questa considerazione aiuta anch'ella a porre il
           componimento proemiale al tempo in cui Dante tuttora dormiva
           in Firenze agnello nemico ai lupi.
              E qui giova ricordare l'epistola che Dante scrisse ai principi
           della terra dopo la morte di Beatrice. Quest'epistola, la quale è più
           che verosimile contenesse precetti di rettitudine e significasse lo
           sparire dalla terra di quella sapienza, confondeva la sapienza che
           è   speranza   della   contemplazione   di   Dio,   con   quella   che   è
                                   143
           prudenza regale o senno . Ora non le confonde più. Ora dice di
           143   Vedi a pag. 94. E vedi nota a pag. 134.


                                         176
   171   172   173   174   175   176   177   178   179   180   181